mercoledì 22 ottobre 2014

Ipazia, una storia tanto antica da esser moderna

Probabilmente non molti lettori si saranno accorti della mia assenza da questo blog, ma a beneficio di quanti invece avranno notato il fatto posso assicurare che di certo non è stato dovuto all'ideatore di questo spazio, a cui mi lega una sincera ed onesta amicizia.

In realtà lo scrivere è un moto dell'animo incontrollabile per chi non ne fa un mestiere, e necessariamente deve trarre origine da emozioni, sentimenti. E a dire il vero, tolta la sfera personale, non sono riuscito a riaccendere il mio spirito: un paese allo sfascio fatto solo di parole e poche azioni, circondato da conflitti e fondamentalismi, in preda alle paure. Ma nulla di tutto ciò ha armato la mia coscienza in questo periodo.

Ci è voluto un libro a ridestarmi dal torpore. Un libro è una esperienza unica, un viaggio nelle quattro dimensioni da cui si esce sempre diversi da come si è entrati, e di certo più ricchi. Ed il libro che ho acquistato in un piccolo spazio gestito da una piccola casa editrice in Santa Maria in Trastevere a Roma durante una delle sporadiche passeggiate nel centro della città eterna mia ha rapito, emozionato, commosso.
Parlo di "Ipazia - Vita e sogni di una scienziata del IV secolo", scritto sapientemente da Adriano Petta e Antonino Colavito. Gli autori con una ricerca storiografica difficilissima hanno riportato alla luce le vicende della prima scienziata della storia, una scienziata a tutto tondo come una volta lo erano i matematici, filosofi, astronomi, medici...insomma veri e propri onniscenti, vissuta nel IV secolo ad Alessandria.
Ipazia era donna in un tempo in cui l'Impero Romano si stava sfaldando ed affidava alla chiesa cristiana il compito di collante. Nel suo tenere insieme la madre chiesa non prevedeva che la donna avesse un ruolo sociale differente da quello della moglie, madre e sottomessa all'uomo.
Ipazia era ellenica, pagana, e quindi minoranza in un mondo in cui chi non si convertiva al cristianesimo veniva sottomesso con ogni forza.
Ipazia contrapponeva la ragione alla religione senza per questo mancare nel rispetto verso i credenti, ma semplicemente avversava chi nella fede vedeva uno strumento per offuscare le menti e le coscienze.
Ipazia ha sacrificato la propria vita morendo martire per mano di un fedelissimo di un patriarca poi riconosciuto santo dalla chiesa: non ha ceduto al ricatto dei potenti ma non ha ceduto alla persuasione della violenza. E' andata incontro al proprio destino per amore della verità, della scienza.
La vita, i sogni e la morte di Ipazia raccontata con una forma sicuramente romanzata dagli autori mi lasciano una profonda emozione, quella di un bambino che per la prima volta assiste ad un sopruso, ma al tempo stesso per l'incanto verso la grandezza di un personaggio oggi più scomodo di quanto non lo è stato in passato.
Mi ricorda che la condizione della donna non è molto cambiata negli ultimi 1600 anni e le responsabilità sono di uomini e di chi ne giustifica l'operato.
Mi ricorda che la civiltà occidentale è stata oppressore, barbara prima di vedere arrivare i barbari, è stata fanatica nella ricerca della evangelizzazione a tutti i costi.

Oggi più che mai i fondamentalismi vanno combattuti, sia quelli sessuali che quelli religiosi, e non ci sono armi migliori della cultura, della conoscenza e della ragione per sconfiggere le ombre che sono tornate a coprire i soli che ogni giorno sorgono nelle nostre vite. Le armi da cui non può non nascere amore, lo stesso che Ipazia ha nutrito per le generazioni future accettando di essere seviziata ed uccisa in nome della fede e della subordinazione della donna all'uomo.

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