Probabilmente non molti lettori si saranno accorti della mia
assenza da questo blog, ma a beneficio di quanti invece avranno notato il fatto
posso assicurare che di certo non è stato dovuto all'ideatore di questo spazio,
a cui mi lega una sincera ed onesta amicizia.
In realtà lo scrivere è un moto dell'animo incontrollabile
per chi non ne fa un mestiere, e necessariamente deve trarre origine da emozioni,
sentimenti. E a dire il vero, tolta la sfera personale, non sono riuscito a
riaccendere il mio spirito: un paese allo sfascio fatto solo di parole e poche
azioni, circondato da conflitti e fondamentalismi, in preda alle paure. Ma
nulla di tutto ciò ha armato la mia coscienza in questo periodo.
Ci è voluto un libro a ridestarmi dal torpore. Un libro è
una esperienza unica, un viaggio nelle quattro dimensioni da cui si esce sempre
diversi da come si è entrati, e di certo più ricchi. Ed il libro che ho acquistato
in un piccolo spazio gestito da una piccola casa editrice in Santa Maria in
Trastevere a Roma durante una delle sporadiche passeggiate nel centro della
città eterna mia ha rapito, emozionato, commosso.
Parlo di "Ipazia - Vita e sogni di una scienziata del
IV secolo", scritto sapientemente da Adriano Petta e Antonino Colavito.
Gli autori con una ricerca storiografica difficilissima hanno riportato alla
luce le vicende della prima scienziata della storia, una scienziata a tutto
tondo come una volta lo erano i matematici, filosofi, astronomi,
medici...insomma veri e propri onniscenti, vissuta nel IV secolo ad
Alessandria.
Ipazia era donna in un tempo in cui l'Impero Romano si stava
sfaldando ed affidava alla chiesa cristiana il compito di collante. Nel suo
tenere insieme la madre chiesa non prevedeva che la donna avesse un ruolo
sociale differente da quello della moglie, madre e sottomessa all'uomo.
Ipazia era ellenica, pagana, e quindi minoranza in un mondo
in cui chi non si convertiva al cristianesimo veniva sottomesso con ogni forza.
Ipazia contrapponeva la ragione alla religione senza per
questo mancare nel rispetto verso i credenti, ma semplicemente avversava chi
nella fede vedeva uno strumento per offuscare le menti e le coscienze.
Ipazia ha sacrificato la propria vita morendo martire per
mano di un fedelissimo di un patriarca poi riconosciuto santo dalla chiesa: non
ha ceduto al ricatto dei potenti ma non ha ceduto alla persuasione della
violenza. E' andata incontro al proprio destino per amore della verità, della
scienza.
La vita, i sogni e la morte di Ipazia raccontata con una
forma sicuramente romanzata dagli autori mi lasciano una profonda emozione,
quella di un bambino che per la prima volta assiste ad un sopruso, ma al tempo
stesso per l'incanto verso la grandezza di un personaggio oggi più scomodo di
quanto non lo è stato in passato.
Mi ricorda che la condizione della donna non è molto
cambiata negli ultimi 1600 anni e le responsabilità sono di uomini e di chi ne
giustifica l'operato.
Mi ricorda che la civiltà occidentale è stata oppressore,
barbara prima di vedere arrivare i barbari, è stata fanatica nella ricerca
della evangelizzazione a tutti i costi.
Oggi più che mai i fondamentalismi vanno combattuti, sia
quelli sessuali che quelli religiosi, e non ci sono armi migliori della
cultura, della conoscenza e della ragione per sconfiggere le ombre che sono
tornate a coprire i soli che ogni giorno sorgono nelle nostre vite. Le armi da
cui non può non nascere amore, lo stesso che Ipazia ha nutrito per le
generazioni future accettando di essere seviziata ed uccisa in nome della fede
e della subordinazione della donna all'uomo.
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