Da più di 2 anni chi si occupa
delle molteplici e continue modifiche alle norme giuslavoristiche si sta
chiedendo se il limite di risarcibilità previsto dal Collegato Lavoro (L. 183/2010
art. 32, comma 5) in caso di “conversione (giudiziale) del contratto a tempo
determinato” si applichi o meno anche alla “costituzione (giudiziale) di un
rapporto di lavoro alle dipendenze” dell’utilizzatore nell’ambito della
somministrazione di lavoro (art 27 D.Lgs. 276/2003) – o, per i giudizi ancora
pendenti, nel precedente lavoro temporaneo -.
Già la gestazione del Collegato
Lavoro si era rivelata piuttosto lunga; i 2 anni e mezzo successivi sono
serviti perché la formulazione indecisa della norma, e la conseguente
giurisprudenza incerta, trovassero una sintesi con la sentenza di Cassazione n.
1148 del 17 gennaio 2013.
Occorre partire dall’antefatto,
per cercare di dare spiegazione del contesto normativo indubbiamente complesso
su cui si inserisce la sentenza.
La mancanza di termini di
decadenza per l’impugnazione di contratti di lavoro a termine (così come di
lavoro temporaneo e di somministrazione di lavoro), insieme con la durata dei
percorsi processuali, determinavano per le aziende soccombenti il rischio di
ingenti obblighi risarcitori: tutte le mensilità mancanti dalla data di
cessazione del rapporto a quella della sua ricostituzione in forza di sentenza.
Tale conseguenza poteva ritenersi
- “nel se” - dipendente dall’uso non
corretto degli strumenti da parte dell’azienda, ma indipendente dal controllo e
dalle responsabilità di quest’ultima rispetto alla sua entità; che, anzi, in
parte era lasciata nella stessa disponibilità del suo possibile beneficiario
(il lavoratore).
Il Collegato Lavoro del 2010
interviene su questo punto, stabilendo innanzitutto specifiche decadenze in
capo al lavoratore che intenda impugnare un contratto a termine, così che
l’ultimo momento disponibile a tale scopo non sia più la prescrizione quinquennale
(art. 32, commi 3 e 4). In tale contesto, tra l’altro, anche se con una
formulazione piuttosto discutibile in termini sistematici, ci si preoccupa di
precisare espressamente che le decadenze introdotte devono considerarsi
riferite anche alle impugnazioni di rapporti di somministrazione di lavoro.
In secondo luogo, la norma stabilisce
un limite risarcitorio onnicomprensivo compreso tra le 2,5 e le 12 mensilità
dell’ultima retribuzione globale di fatto a favore del lavoratore, appunto nel
caso di “conversione del contratto a tempo determinato” (art. 32, comma 5).
Assente ogni riferimento alla
somministrazione di lavoro su questo secondo punto.
Come si diceva, prevedibilmente i
giudici del lavoro chiamati a verificare l’applicabilità di tale limite alle
impugnazioni di contratti di somministrazione hanno oscillato tra il si ed il
no.
Le ragioni del no si sono
fondate, oltre che sulla semplice mancanza di una citazione espressa della
somministrazione in quel contesto, anche sui termini utilizzati dal legislatore
per descrivere la fattispecie: la norma del Collegato parla di “conversione del
contratto”, laddove tecnicamente, in caso di somministrazione, si parla di “costituzione”.
Ciò perchè, in caso di somministrazione, non è sufficiente dichiarare una trasformazione
del contratto nato a tempo determinato in indeterminato tra i medesimi soggetti
(datore e lavoratore), ma occorre la costituzione di un nuovo rapporto di
lavoro tra soggetti diversi (il lavoratore e l’utilizzatore). Nel primo caso si
ha una pronuncia dichiarativa, nel secondo costitutiva; tecnicamente due
fattispecie diverse.
Entrambi gli argomenti usati dal
“fronte del no” risultavano del resto rafforzati dal fatto che il precedente
comma 4 (decadenze) dimostra di tenere in considerazione l’uso corretto dei due
termini “conversione” e “costituzione” rispetto alle due diverse fattispecie
(contratto a termine e contratto di somministrazione). Se nelle righe
precedenti si cita espressamente la somministrazione, mentre nelle successive
il riferimento è al solo contratto a tempo determinato, allora…
Insomma, una certa confusione
normativa (a distanza di poche righe) che a nessuno è sfuggita; neanche alla motivazione
su cui Cassazione n. 1148 fonda la decisione di concludere per la soluzione
positiva, dirimendo il contrasto giurisprudenziale.
Il limite di risarcibilità,
dunque, è da applicarsi anche in caso di impugnazione di un rapporto di lavoro
temporaneo – che era l’oggetto specifico del contenzioso arrivato
all’attenzione della Suprema Corte – perché le fattispecie di possibile
impugnazione descritte dalle norme a riguardo (art. 10 L . 196/1997) determinavano
un effetto di conversione del contratto a tempo determinato originariamente
stipulato tra agenzia e lavoratore, richiamato nelle parole “il lavoratore si
considera assunto a tempo indeterminato dall’impresa utilizzatrice”.
Fortunatamente, la pronuncia
coglie lo spunto per trattare dell’analoga questione anche per i rapporti di
somministrazione di lavoro: rispetto ad essi, le imprecisioni normative che
sopra abbiamo tentato di descrivere in sintesi, sono ricondotte alla medesima
conclusione positiva facendo leva sulla norma della Riforma Fornero che ha
inteso fornire interpretazione autentica all’art. 32 comma 5 (L. 92/2012 art.
1, comma 13).
Lo scopo dell’ulteriore
intervento normativo sul punto era di evitare difformità interpretative in
merito al calcolo dell’indennità risarcitoria, non circa la possibilità o meno
di ricomprendervi la somministrazione di lavoro; ma, a questo punto, propizia è
stata la Riforma.
Perché se la nuova norma non ci
fosse stata e se la nuova norma non si fosse riferita al principio incerto
della “conversione del contratto a tempo determinato” del Collegato, come di
una “ricostituzione del rapporto di lavoro” – definizione che altrettanto ha
lasciato perplessi tanti interpreti -, la Suprema Corte forse non avrebbe avuto
spunto letterale per riportare contratto a termine, lavoro temporaneo e
somministrazione di lavoro all’interno del medesimo principio di certezza nelle
conseguenze giudiziarie, che le norme del Collegato intendevano perseguire.
Emblematiche sul punto le parole
della motivazione: “Ai fini del problema
in esame, l’utilizzazione del termine ricostituzione vuole probabilmente
indicare che il concetto di conversione comprende non solo provvedimenti di
natura dichiarativa, ma anche di natura costitutiva, quale potrebbe essere
quello previsto” in caso di somministrazione irregolare (art. 27 D.Lgs.
276/03).
E sulla base di ciò pare
possibile concludere che il limite di risarcibilità sia applicabile non solo
per la somministrazione a termine, ma per quella a tempo indeterminato (staff
leasing), ed anche nel caso il contratto di lavoro “sottostante” tra agenzia e
lavoratore sia a tempo indeterminato: vero che mancherebbe il presupposto del
contratto a tempo determinato citato da Collegato, ma si tratterebbe pur sempre
di ricostituzione del rapporto di lavoro per somministrazione irregolare,
nell’accezione indicata dalla Corte.
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