mercoledì 13 febbraio 2013

Lavoro temporaneo e somministrazione di lavoro – La Cassazione mette ordine sui termini risarcitori di Mauro Soldera


Da più di 2 anni chi si occupa delle molteplici e continue modifiche alle norme giuslavoristiche si sta chiedendo se il limite di risarcibilità previsto dal Collegato Lavoro (L. 183/2010 art. 32, comma 5) in caso di “conversione (giudiziale) del contratto a tempo determinato” si applichi o meno anche alla “costituzione (giudiziale) di un rapporto di lavoro alle dipendenze” dell’utilizzatore nell’ambito della somministrazione di lavoro (art 27 D.Lgs. 276/2003) – o, per i giudizi ancora pendenti, nel precedente lavoro temporaneo -.
Già la gestazione del Collegato Lavoro si era rivelata piuttosto lunga; i 2 anni e mezzo successivi sono serviti perché la formulazione indecisa della norma, e la conseguente giurisprudenza incerta, trovassero una sintesi con la sentenza di Cassazione n. 1148 del 17 gennaio 2013.
Occorre partire dall’antefatto, per cercare di dare spiegazione del contesto normativo indubbiamente complesso su cui si inserisce la sentenza.
La mancanza di termini di decadenza per l’impugnazione di contratti di lavoro a termine (così come di lavoro temporaneo e di somministrazione di lavoro), insieme con la durata dei percorsi processuali, determinavano per le aziende soccombenti il rischio di ingenti obblighi risarcitori: tutte le mensilità mancanti dalla data di cessazione del rapporto a quella della sua ricostituzione in forza di sentenza.
Tale conseguenza poteva ritenersi - “nel se” - dipendente dall’uso non corretto degli strumenti da parte dell’azienda, ma indipendente dal controllo e dalle responsabilità di quest’ultima rispetto alla sua entità; che, anzi, in parte era lasciata nella stessa disponibilità del suo possibile beneficiario (il lavoratore).
Il Collegato Lavoro del 2010 interviene su questo punto, stabilendo innanzitutto specifiche decadenze in capo al lavoratore che intenda impugnare un contratto a termine, così che l’ultimo momento disponibile a tale scopo non sia più la prescrizione quinquennale (art. 32, commi 3 e 4). In tale contesto, tra l’altro, anche se con una formulazione piuttosto discutibile in termini sistematici, ci si preoccupa di precisare espressamente che le decadenze introdotte devono considerarsi riferite anche alle impugnazioni di rapporti di somministrazione di lavoro.
In secondo luogo, la norma stabilisce un limite risarcitorio onnicomprensivo compreso tra le 2,5 e le 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto a favore del lavoratore, appunto nel caso di “conversione del contratto a tempo determinato” (art. 32, comma 5).
Assente ogni riferimento alla somministrazione di lavoro su questo secondo punto.
Come si diceva, prevedibilmente i giudici del lavoro chiamati a verificare l’applicabilità di tale limite alle impugnazioni di contratti di somministrazione hanno oscillato tra il si ed il no.
Le ragioni del no si sono fondate, oltre che sulla semplice mancanza di una citazione espressa della somministrazione in quel contesto, anche sui termini utilizzati dal legislatore per descrivere la fattispecie: la norma del Collegato parla di “conversione del contratto”, laddove tecnicamente, in caso di somministrazione, si parla di “costituzione”. Ciò perchè, in caso di somministrazione, non è sufficiente dichiarare una trasformazione del contratto nato a tempo determinato in indeterminato tra i medesimi soggetti (datore e lavoratore), ma occorre la costituzione di un nuovo rapporto di lavoro tra soggetti diversi (il lavoratore e l’utilizzatore). Nel primo caso si ha una pronuncia dichiarativa, nel secondo costitutiva; tecnicamente due fattispecie diverse.
Entrambi gli argomenti usati dal “fronte del no” risultavano del resto rafforzati dal fatto che il precedente comma 4 (decadenze) dimostra di tenere in considerazione l’uso corretto dei due termini “conversione” e “costituzione” rispetto alle due diverse fattispecie (contratto a termine e contratto di somministrazione). Se nelle righe precedenti si cita espressamente la somministrazione, mentre nelle successive il riferimento è al solo contratto a tempo determinato, allora…
Insomma, una certa confusione normativa (a distanza di poche righe) che a nessuno è sfuggita; neanche alla motivazione su cui Cassazione n. 1148 fonda la decisione di concludere per la soluzione positiva, dirimendo il contrasto giurisprudenziale.
Il limite di risarcibilità, dunque, è da applicarsi anche in caso di impugnazione di un rapporto di lavoro temporaneo – che era l’oggetto specifico del contenzioso arrivato all’attenzione della Suprema Corte – perché le fattispecie di possibile impugnazione descritte dalle norme a riguardo (art. 10 L. 196/1997) determinavano un effetto di conversione del contratto a tempo determinato originariamente stipulato tra agenzia e lavoratore, richiamato nelle parole “il lavoratore si considera assunto a tempo indeterminato dall’impresa utilizzatrice”.
Fortunatamente, la pronuncia coglie lo spunto per trattare dell’analoga questione anche per i rapporti di somministrazione di lavoro: rispetto ad essi, le imprecisioni normative che sopra abbiamo tentato di descrivere in sintesi, sono ricondotte alla medesima conclusione positiva facendo leva sulla norma della Riforma Fornero che ha inteso fornire interpretazione autentica all’art. 32 comma 5 (L. 92/2012 art. 1, comma 13).
Lo scopo dell’ulteriore intervento normativo sul punto era di evitare difformità interpretative in merito al calcolo dell’indennità risarcitoria, non circa la possibilità o meno di ricomprendervi la somministrazione di lavoro; ma, a questo punto, propizia è stata la Riforma.
Perché se la nuova norma non ci fosse stata e se la nuova norma non si fosse riferita al principio incerto della “conversione del contratto a tempo determinato” del Collegato, come di una “ricostituzione del rapporto di lavoro” – definizione che altrettanto ha lasciato perplessi tanti interpreti -, la Suprema Corte forse non avrebbe avuto spunto letterale per riportare contratto a termine, lavoro temporaneo e somministrazione di lavoro all’interno del medesimo principio di certezza nelle conseguenze giudiziarie, che le norme del Collegato intendevano perseguire.
Emblematiche sul punto le parole della motivazione: “Ai fini del problema in esame, l’utilizzazione del termine ricostituzione vuole probabilmente indicare che il concetto di conversione comprende non solo provvedimenti di natura dichiarativa, ma anche di natura costitutiva, quale potrebbe essere quello previsto” in caso di somministrazione irregolare (art. 27 D.Lgs. 276/03).
E sulla base di ciò pare possibile concludere che il limite di risarcibilità sia applicabile non solo per la somministrazione a termine, ma per quella a tempo indeterminato (staff leasing), ed anche nel caso il contratto di lavoro “sottostante” tra agenzia e lavoratore sia a tempo indeterminato: vero che mancherebbe il presupposto del contratto a tempo determinato citato da Collegato, ma si tratterebbe pur sempre di ricostituzione del rapporto di lavoro per somministrazione irregolare, nell’accezione indicata dalla Corte.

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