La mancanza di valori, l'assenza di correttezza istituzionale, la vecchia e
(purtroppo) attuale tendenza ad avere in qualsiasi partito un "ufficio cariche" che, mette
al vertice di aziende di Stato, enti pubblici e aziende a partecipazione
pubblica (sopratutto a livello regionale e comunale), personaggi non per merito,
ma solo perché meritevoli di avere tessere di partito: questa è la morte della democrazia.
Il vero scandalo è stato nell'enunciazione di regole spartitorie come figlie
di un sistema che non poteva mai essere modificato.
Nessun leader che ha governato negli ultimi 60 anni ha avuto il controllo
(o meglio ne ha avuto fin troppo, ma in senso deplorevole).
Si è per lungo tempo agito e governato condizionati da pressioni del
sistema di potere, fatto di clientele e consorterie e nessun partito (e nessuna
coalizione) è stato estraneo a questo patrimonio "morale" e
"culturale" tipico italiano.
Abbiamo visto in passato Ministri della Repubblica e Presidenti del Consiglio
dei Ministri, incapaci, inidonei alle cariche che ricoprivano; questa
inidoneità è stata considerata irrilevante e non ha impedito il prolungarsi
della loro presenza al Governo, pur nella drammatica evidenza degli insuccessi.
Per lungo tempo la politica fiscale ed economica dei Governi è stata
caratterizzata da una continua rincorsa elettorale del facile consenso e non
dall'idea di interesse generale per il Paese. Il nostro Stato è stato per anni
come una vettura guidata da un conducente spericolato, lungo una strada piena
di dossi e tremendamente accidentata.
Un politico degli anni 70 e 80, nel giugno del 1984, definì il
nostro Paese una nuova e strana entità mista: "un terzo Finlandia, cioè
neutalità pulita, un terzo Vaticano cioè visione ecumenica delle grandi
questioni nazionali e internazionali e un terzo Tangeri cioè mercato e
affarismo spericolato".
Miglior definizione e miglior sintesi, non si poteva trovare per definire
il vero male della nostra amata Italia.
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