La Rerum novarum di cui ho parlato ieri, sottolinea l’esigenza che lo Stato, deve intervenire per promuovere la pubblica utilità e difendere i più deboli:
“I proletari né di più né di meno dei ricchi sono cittadini per diritto naturale, membri veri e viventi onde si compone, mediante le famiglie, il corpo sociale: per non dire che ne sono il maggior numero. Ora, essendo assurdo provvedere ad una parte di cittadini e trascurare l’altra, è stretto dovere dello Stato prendersi la dovuta cura del benessere degli operai; non facendolo si offende la giustizia (RN 27) (...)
Il ceto dei ricchi, forte per sé stesso, abbisogna meno della pubblica difesa; i miseri ceti popolari, che mancano di sostegno proprio, hanno speciale necessità di trovarlo nel patrocinio dello Stato. Perciò agli operai, che sono nel numero dei deboli e dei bisognosi, lo Stato deve di preferenza rivolgere le cure e le provvidenze sue. “(RN 29)
La difesa dei lavoratori è fondata anche sulla consapevolezza della dignità del lavoro e dei lavoratori. Leone XIII richiama i lavoratori al rispetto dei doveri derivanti dal patto stabilito con il datore di lavoro, ma rivendica condizioni di lavoro più umane: “Non è giusto né umano esigere dall’uomo tanto lavoro da farne inebetire la mente per troppa fatica e da fiaccarne il corpo» (RN 34), con particolare riguardo ad all’età, al sesso ed al tipo di lavoro “.
Anche per quanto riguarda il salario, il Papa prende duramente posizione contro la tradizione liberista che avrebbe voluto la sua determinazione lasciata al gioco della domanda e dell’offerta:
“Tocchiamo ora un punto di grande importanza e che va inteso bene per non cadere in uno dei due estremi opposti. La quantità del salario, si dice, la determina il libero consenso delle parti: sicché il padrone, pagata la mercede, ha fatto la parte sua, né sembra sia debitore di altro. Si commette ingiustizia soltanto quando o il padrone non paga l’intero salario o l’operaio non presta tutta l’opera pattuita; e solo a tutela di questi diritti, non per altre ragioni, è lecito l’intervento dello Stato.
[... ] Sia pur dunque che l’operaio e il padrone formino di comune consenso il patto, e soprattutto la quantità del salario; vi entra però sempre un elemento di giustizia naturale, anteriore e superiore alla libera volontà dei contraenti, ed è che il quantitativo della mercede non sia inferiore al sostentamento dell’operaio frugale, s’intende, e ben costumato. Se questi costretto dalla necessità, o per timore di peggio, accetta patti più duri, i quali perché imposti dal proprietario o dall’imprenditore, volere o non volere, debbono essere accettati, questo è subire una violenza contro la quale la giustizia protesta.” (RN 36-37)
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