“La flessibilità del mercato del lavoro si considera, generalmente, la sola
risposta possibile alla sempre più aspra concorrenza mondiale. Dal momento che
essa implica, che il lavoro non sia più un diritto, la conseguenza di un simile
sviluppo, è che si indebolisce il contratto sociale vigente, basato sulla
funzione integratrice del lavoro. Si rischia che si arrivi a considerare il
lavoro come un rapporto sporadico, casualmente dipendente dalla congiuntura
economica mondiale, anziché un impegno reciproco stabile, che va a beneficio
sia del datore di lavoro sia dei lavoratori salariati.
I tradizionali modelli occupazionali europei si basano su
un'organizzazione collettiva del lavoro, mentre i modelli di occupazione
flessibili tendono a rendere individuale il rapporto datore di lavoro/salariato
e a indebolire le identità collettive precedentemente basate sul lavoro.
Per contenere i pericoli della flessibilità, dobbiamo
studiare la possibilità di dare vita a nuovi diritti o di reinterpretare quelli
esistenti, per facilitare il sempre più frequente passaggio da un lavoro a un
altro[1](Terry Davis)[2].
In Italia, come in
Europa, il mercato del lavoro era da anni sottoposto a continue trasformazioni,
sia dal lato della domanda che da quello dell’offerta. Le esigenze di
mondializzazione, di competitività e di innovazione tecnologica incidevano,
sull’organizzazione del lavoro, sull’allocazione e delocalizzazione produttiva
e sull’esternalizzazione e terziarizzazione delle attività produttive. In
sintesi questi cambiamenti, dal lato della domanda, evidenziavano un mercato
del lavoro flessibile in cui:
·
è più facile, dover cambiare il
lavoro;
·
è più facile, trovare un lavoro
temporaneo piuttosto che un lavoro stabile;
·
è più facile, trovare il lavoro se si
hanno già esperienze lavorative e quindi maggiori competenze professionali.
Di conseguenza, oltre alle
tradizionali contrapposizioni tra chi ha un lavoro e chi non lo ha, si doveva
considerare il rapporto tra:
·
chi ha un lavoro continuativo e chi
no;
·
chi ha un lavoro tutelato e chi no;
·
chi ha un lavoro professionalizzato e
chi no.
La mancanza di norme e strumenti contrattuali adeguati a governare il
cambiamento, esponeva soprattutto a pericoli i più deboli, per i quali la
flessibilità rischiava di trasformarsi in precarietà.
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