venerdì 26 luglio 2013

Il contratto a termine dopo il DL 76/2013: a rischio la compatibilità con il diritto comunitario? di Andrea Morzenti

La Direttiva 1999/70/CE del 28 giugno1999 chiede agli Stati membri di introdurre una o più misure al fine di prevenire gli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato.

Con l’entrata in vigore del cosiddetto “Decreto Lavoro” del Governo Letta (Decreto Legge n. 76/2013) mi sono chiesto se la normativa sul contratto di lavoro a tempo determinato, il Decreto Legislativo n. 368/2001, fosse ancora conforme alla Direttiva sopra citata, di cui ne è il recepimento in Italia.
Il Decreto Lavoro, infatti, modifica in alcuni aspetti il d.lgs. n. 368/2001, in particolare in tema di successione di contratti (cd “stop&go”) e di acausalità, argomenti certamente di primaria importanza.

Di seguito riporto uno schema di riepilogo.


Misure “anti abuso” richieste dall’UE

Attuazione nel Decreto Legislativo. n. 368/2001
Possibilità di rimozione della misura
ragioni obiettive (per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti)
Causale di utilizzo

E' consentita l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro

(art. 1, comma 1)

La causale di utilizzo non è richiesta “in ogni altra ipotesi individuata dai contratti collettivi, anche aziendali, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale

(d.lgs. n. 368/2001, art. 1, comma 1-bis, lett. b, introdotta dal DL n. 76/2013)

il numero dei rinnovi (dei suddetti contratti o rapporti)

Stop&go

Qualora il lavoratore venga riassunto a termine, ai sensi dell'articolo 1, entro un periodo di dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore ai sei mesi, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato

(art. 5, comma 3)

Disposizioni che “non trovano applicazione […] in relazione alle ipotesi individuate dai contratti collettivi, anche aziendali, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale

(d.lgs. n. 368/2001, art. 5, comma 3, disposizione introdotta dal DL n. 76/2013)



la durata massima totale (dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi)

Durata massima

Qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato

(art. 5, comma 4-bis, introdotto dalla L. 247/2007)

Sono “fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale

(d.lgs. n. 368/2001, art. 5, comma 4-bis, inciso inserito dal DL n. 112/2008)


Il Decreto Legislativo n. 368/2001 introduce quindi tutte e tre le misure “anti abuso” richieste dalla direttiva UE (quando, per essere compliant, ne sarebbe potuta bastare anche una sola) ma, con le modifiche ora apportate dal Decreto Legge n. 76/2013, ne consente la completa rimozione, anche di tutte e tre contemporaneamente, da parte della contrattazione collettiva di ogni livello, con il risultato, a mio parere, di vanificare completamente quanto richiestoci in sede europea.

Oggi infatti un contratto collettivo di lavoro, anche aziendale, potrebbe prevedere legittimamente la sottoscrizione di contratti di lavoro a tempo determinato:
- senza causale
- senza interruzione tra contratti
- senza limiti di durata massima complessiva

Non sarebbe stato meglio, allora, puntare su una sola misura “anti abuso” (ad es. la durata massima di 36 mesi, accompagnata magari da limiti quantitativi) prevedendone però l’inderogabilità da parte della contrattazione collettiva?

Andrea Morzenti

twitter@AMorzenti

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