La
flessibilità si differenzia rispetto alla condizione di tipicità, per almeno
uno di questi tre aspetti:
· l’assenza di dipendenza;
· un tempo di lavoro diverso dal tempo
pieno;
· una scadenza temporale già
stabilita nel contratto.
Nell’economia tradizionale, è spesso vista come uno strumento per
recuperare efficienza e migliorare le “performance” delle organizzazioni
aziendali.Indubbiamente porta a migliori prestazioni che possono essere cosi
spiegate:
· possibilità di interrompere il
rapporto lavorativo, riducendo una quota variabile dei dipendenti, qualora
diminuiscano le vendite e la produzione;
· possibilità di distribuire come si
crede il lavoro nel giorno e nella settimana, riconfigurando gli orari e
alternandone le tipologie;
· per ridurre i costi, inoltre, è
prevista la possibilità di affidare una parte sempre più rilevante della
propria attività a società esterne attraverso contratti di appalto di servizi.
Accanto ai benefici della flessibilità vanno considerati anche i
costi che, molto spesso, si possono tradurre in una sorta d’insoddisfazione dei
lavoratori che, non sentendosi parti attive del processo lavorativo, sono
demotivati a compiere certe attività, nella convinzione di ottenere
gratificazioni solo nel breve periodo.
Benefici
e costi si distribuiscono così in modo asimmetrico tra i diversi attori della
vita economica e sociale e ciò da luogo a percezioni soggettive diverse.
In questa nuova realtà alle persone è chiesta una maggiore
capacità di adattamento, di gestione dei processi, di definizione e risoluzione
di problemi, di condivisione e aggiornamento continuo delle conoscenze; in
cambio l’organizzazione concede maggiore autonomia e responsabilizzazione nella
ricerca di soluzioni efficaci. Questa tipologia d’impresa, si affida alla
cosiddetta flessibilità funzionale o interna caratterizzata da un
coinvolgimento attivo dei dipendenti per ottenere il successo economico
dell’organizzazione, ottenibile solo con una prospettiva d’investimento nelle
risorse umane a lungo termine.
L’azienda che utilizza questa forma di
flessibilità è quella che richiede alti livelli qualitativi ed è alla ricerca
d’innovazione di prodotti e servizi, quindi ha convenienza a mantenere al
proprio interno le alte competenze di cui ha bisogno.
Contrapposta alla flessibilità interna,
c’è quella esterna che cerca di rispondere ai mutamenti dell’ambiente, puntando
su variazioni retributive o numeriche della forza lavoro.
I due modelli di flessibilità non sono,
del tutto opposti l’uno all’altro: possono esistere, infatti, situazioni in cui
la flessibilità interna conviva con quella esterna.
Contrariamente alle attese, però, il
ricorso alle varie forme di flessibilità non è significativamente collegato
alle caratteristiche strutturali e di mercato delle imprese, né alle loro
strategie competitive. Le spiegazioni vanno cercate nelle strategie decisionali
caso per caso, all'interno di ambienti diversificati, e non come conseguenza
automatica dagli andamenti del mercato.
Forme flessibili d'impiego[1], sono utilizzate con
una certa intensità quasi esclusivamente per le categorie meno qualificate di tipo
impiegatizio o tra i gruppi occupazionali di tipo operativo. Solo marginalmente
sono interessate, le categorie più critiche per l'impresa ovvero i tecnici, i
“professional” e gli specialisti.
Secondo alcuni studi tra le ragioni per
cui le aziende dichiarano di farne uso, quella più ricorrente è la necessità di
far fronte a picchi produttivi: questo è il motivo scelto più di frequente in
caso di utilizzo delle varie forme di flessibilità esterna.
Nel caso del “part-time”, si utilizza
per accogliere le richieste del personale, mentre nel caso del lavoro autonomo
o parasubordinato, conterebbero anche esigenze collegate ai caratteri peculiari
della produzione o necessità di acquisire risorse o competenze particolari.
Alle forme di lavoro temporaneo si farebbe inoltre ricorso per supplire a
periodi di assenza del personale.
In tutti i casi scarso rilievo
sembrerebbe avere invece l'obiettivo di ridurre i costi.
Nel complesso se ne ottiene un quadro
caratterizzato da una specializzazione poco accentuata nell'utilizzo dei vari
strumenti, quasi essi fossero relativamente fungibili, che è in linea con
quanto detto circa la propensione a farne uso, combinandoli in modo piuttosto
eclettico.
[1] Soprattutto i contratti a termine ed il lavoro somministrato.
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