lunedì 24 giugno 2013

Flessibilità esterna e flessibilità interna #laflessibilitasicura

La flessibilità si differenzia rispetto alla condizione di tipicità, per almeno uno di questi tre aspetti:
·  l’assenza di dipendenza;
· un tempo di lavoro diverso dal tempo pieno;
· una scadenza temporale  già stabilita nel contratto.
Nell’economia tradizionale, è spesso vista come uno strumento per recuperare efficienza e migliorare le “performance” delle organizzazioni aziendali.Indubbiamente porta a migliori prestazioni che possono essere cosi spiegate:
· possibilità di interrompere il rapporto lavorativo, riducendo una quota variabile dei dipendenti, qualora diminuiscano le vendite e la produzione;
· possibilità di distribuire come si crede il lavoro nel giorno e nella settimana, riconfigurando gli orari e alternandone le tipologie;
· per ridurre i costi, inoltre, è prevista la possibilità di affidare una parte sempre più rilevante della propria attività a società esterne attraverso contratti di appalto di servizi.
Accanto ai benefici della flessibilità vanno considerati anche i costi che, molto spesso, si possono tradurre in una sorta d’insoddisfazione dei lavoratori che, non sentendosi parti attive del processo lavorativo, sono demotivati a compiere certe attività, nella convinzione di ottenere gratificazioni solo nel breve periodo.
Benefici e costi si distribuiscono così in modo asimmetrico tra i diversi attori della vita economica e sociale e ciò da luogo a percezioni soggettive diverse.
In questa nuova realtà alle persone è chiesta una maggiore capacità di adattamento, di gestione dei processi, di definizione e risoluzione di problemi, di condivisione e aggiornamento continuo delle conoscenze; in cambio l’organizzazione concede maggiore autonomia e responsabilizzazione nella ricerca di soluzioni efficaci. Questa tipologia d’impresa, si affida alla cosiddetta flessibilità funzionale o interna caratterizzata da un coinvolgimento attivo dei dipendenti per ottenere il successo economico dell’organizzazione, ottenibile solo con una prospettiva d’investimento nelle risorse umane a lungo termine.
L’azienda che utilizza questa forma di flessibilità è quella che richiede alti livelli qualitativi ed è alla ricerca d’innovazione di prodotti e servizi, quindi ha convenienza a mantenere al proprio interno le alte competenze di cui ha bisogno.
Contrapposta alla flessibilità interna, c’è quella esterna che cerca di rispondere ai mutamenti dell’ambiente, puntando su variazioni retributive o numeriche della forza lavoro.
I due modelli di flessibilità non sono, del tutto opposti l’uno all’altro: possono esistere, infatti, situazioni in cui la flessibilità interna conviva con quella esterna.
Contrariamente alle attese, però, il ricorso alle varie forme di flessibilità non è significativamente collegato alle caratteristiche strutturali e di mercato delle imprese, né alle loro strategie competitive. Le spiegazioni vanno cercate nelle strategie decisionali caso per caso, all'interno di ambienti diversificati, e non come conseguenza automatica dagli andamenti del mercato.
Forme flessibili d'impiego[1], sono utilizzate con una certa intensità quasi esclusivamente per le categorie meno qualificate di tipo impiegatizio o tra i gruppi occupazionali di tipo operativo. Solo marginalmente sono interessate, le categorie più critiche per l'impresa ovvero i tecnici, i “professional” e gli specialisti.
Secondo alcuni studi tra le ragioni per cui le aziende dichiarano di farne uso, quella più ricorrente è la necessità di far fronte a picchi produttivi: questo è il motivo scelto più di frequente in caso di utilizzo delle varie forme di flessibilità esterna.
Nel caso del “part-time”, si utilizza per accogliere le richieste del personale, mentre nel caso del lavoro autonomo o parasubordinato, conterebbero anche esigenze collegate ai caratteri peculiari della produzione o necessità di acquisire risorse o competenze particolari.  Alle forme di lavoro temporaneo si farebbe inoltre ricorso per supplire a periodi di assenza del personale.
In tutti i casi scarso rilievo sembrerebbe avere invece l'obiettivo di ridurre i costi.
Nel complesso se ne ottiene un quadro caratterizzato da una specializzazione poco accentuata nell'utilizzo dei vari strumenti, quasi essi fossero relativamente fungibili, che è in linea con quanto detto circa la propensione a farne uso, combinandoli in modo piuttosto eclettico.  






[1] Soprattutto i contratti a termine ed il lavoro somministrato.


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