In questi giorni è stato reso disponibile il XIII
monitoraggio sull’apprendistato, redatto a cura di Isfol; la documentazione è
disponibile presso www.lavoro.gov.it/Lavoro.
Un lavoro corposo che fotografa la situazione normativa ed
applicativa dell’istituto qual era negli ultimi mesi del 2012, vale a dire nel
primo periodo utile di messa a regime della nuova architettura prevista dal
Testo Unico del 2011.
L’analisi si sofferma su molteplici aspetti, tanto normativi
quanto applicativi, come detto, con ampiezza di riscontri anche statistici. Gli
spunti di commento potrebbero essere diversi, ma una cosa sopra molte colpisce:
la moltiplicazione delle regole.
Il Testo Unico del 2011 nasce con l’intento di mettere
ordine – e consentire finalmente una adeguata operatività dello strumento –
nella sovrapposizione conflittuale delle norme creatasi dopo la riforma del
2003; chiudere la stagione delle impugnazioni davanti alla Corte Costituzionale
e ripartire con un testo snello e “pre-concordato” tra Stato, Regioni,
Provincie autonome e Parti sociali.
Così è stato. La norma disegna il quadro complessivo
dell’istituto nelle sue 3 articolazioni (per la qualifica e il diploma professionale,
professionalizzante, di alta formazione e ricerca) e nelle regole generali
comuni o specifiche per le 3 tipologie; definisce gli spazi di intervento delle
altre fonti: le Regioni e le Provincie autonome da una parte, la contrattazione
collettiva dall’altra.
Semplificando si potrebbe dire che il riferimento alle
Regioni ed alle Provincie autonome soddisfa i vincoli imposti dal Titolo V
della Costituzione – come riformato nell’ottobre 2001 -, quello alla
contrattazione collettiva l’opportunità di consentire alle parti del rapporto
di rendere l’istituto il più aderente ed efficacie possibile rispetto alle
esigenze di ogni comparto.
Quest’ultimo monitoraggio consente di verificare ed
analizzare il contributo di questi attori alla “prima occasione” di completamento
del quadro di regole necessarie per il funzionamento del contratto.
Non è possibile raggiungere una sintesi significativa
rispetto ai contenuti di questi interventi; qualche numero e qualche
considerazione può spiegarne il motivo.
Il monitoraggio riferisce che gli accordi interconfederali e
i contratti collettivi che hanno normato la materia sono più di 50 (di cui 36
presi in considerazione dall’analisi); tutti hanno trattato il tema
dell’apprendistato professionalizzante, 1/3 l’apprendistato per la qualifica e
il diploma professionale, meno di 1/5 quello di alta formazione.
Nel contesto dell’apprendistato professionalizzante, il
ruolo centrale nella definizione delle regole di dettaglio spetta alla
contrattazione collettiva secondo il disegno del Testo Unico; nelle altre due
tipologie, le Regioni e le Provincie autonome sono chiamate al contributo più
significativo.
Il rapporto non dice se quei “più di 50” coprano tutti i comparti
produttivi (considerata la presenza di accordi interconfederali); in ogni caso,
ciò significa che l’apprendistato professionalizzante può essere fatto in più
di 50 modi, seguendo regole “spesso molto diverse” in ragione delle scelte
adottate dalle Parti sociali. Su temi centrali quali l’inquadramento e la
retribuzione, il tutor, il piano formativo individuale, il ricorso a fondi
paritetici interprofessionali, il riconoscimento e la valorizzazione dei titoli
e delle competenze acquisite.
Poi – rimanendo sul terreno dell’apprendistato
professionalizzante - occorre fare riferimento alla normativa regionale per la
formazione di base e trasversale.
L’indagine rileva che alla data del 30 novembre tutte le
Regioni hanno provveduto a dotarsi di propria normativa, ad eccezione della
Provincia di Trento.
La legge consentirebbe di stipulare contratti di
apprendistato professionalizzante anche in mancanza di norme regionali ma a
quanto pare non occorre usufruire di questa norma.
Piuttosto, dall’analisi emerge l’evidenza di una
regolamentazione regionale variegata, “per numerosità e natura”.
Cosi, se ti trovi in Toscana e sei già in possesso di una
qualifica o di un diploma le 120 ore di formazione nel triennio sono ridotte a
90, o a 60 se in possesso di un diploma di scuola di scuola secondaria di
secondo grado di durata quinquennale o di laurea. Se sei nelle Marche e sei
laureato, comunque le ore sono 80. Qualche sconto lo puoi ottenere in Piemonte
se sei in possesso di crediti formativi permanenti sulla sicurezza, mentre in
Basilicata, addirittura, sei totalmente esentato se in possesso di un
certificato di qualifica regionale o di un titolo rilasciato nell’istruzione e
formazione professionale.
Ogni Regione ha poi le proprie regole per quanto riguarda
l’articolazione interna od esterna all’azienda delle attività di formazione, il
riferimento allo strumento dell’accreditamento per la gestione dell’offerta,
gli standard, le certificazioni…
Insomma, l’opera di semplificazione che era nelle intenzioni
del legislatore del Testo Unico può dirsi raggiunta solo in parte.
Si potrebbe dire che l’intento di consentire ad ogni
comparto produttivo la regolazione di un istituto come l’apprendistato secondo
le proprie esperienze ed esigenze corrisponda ad un sano principio, sempreché
si ritenga corretta e sostenibile l’articolazione e la numerosità dei comparti.
Più difficile darsi spiegazione della necessità di una tale moltiplicazione di
regole per semplice ragione geografica; necessità sostanziale intendo, perché
quella giuridica deriva dal “nuovo” Titolo V della Costituzione.
La questione pare ben presente anche all’attuale Ministro
del Lavoro, se nella prefazione si cura di precisare come “sia necessario,
tuttavia, che si crei un sistema nazionale dell’apprendistato, che consenta
alle imprese di operare in più aree regionali, sfruttando processi e procedure
standardizzate, e ai giovani apprendisti di muoversi con facilità sul
territorio”, perché “la vera sfida … è quella di individuare modelli da portare
a regime in tutte le Regioni e in tutti i settori”.
Grazie avvocato per i suoi interessanti articolo, le chiedo una considerazione. In questa riforma secondo lei perché non si sono ascoltate le aziende. Questa riforma in alcuni spunti ben strutturata ma in altri poco efficace ed in certo caso paralizzante. In tutto questo a farne le spese sono i giovani e quella fascia di era che va dai 45anni che in caso di perdita di lavoro saranno espulsi dal mercato perché obsoleti e molto costosi rispetto ad un apprendista. Sara fondamentale un ragionamento su regole per gestire la diversità anche di era nelle aziende.
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