Guardando la situazione ad oggi verrebbe da dire che "se Atene piange Sparta non ride". Nel gioco delle parti Atene impersonifica la Grecia, Sparta sono tutti gli altri o quanto meno tutti quelli che si sono venuti a trovare in condizioni simili a quelle da tragedia greca. Quindi, tanto per intenderci, Irlanda, Spagna, Portogallo, Italia e - dicono i maligni - a breve anche la Francia.
Parliamo di Europa unita e di democrazia. Di unione monetaria, è vero, volontaria. Il trattato di Nizza e quello di Lisbona hanno portato ad un più massiccio livello di integrazione degli stati, fino ad accarezzare l’ideale spinelliano della vera Unità d’Europa. E l’unione monetaria è senz’altro presupposto imprescindibile. Ma di fronte a quello che accade oggi, viene da chiedersi parafrasando la scatola magica, se il prezzo è giusto. Assistiamo a diktat pesantissimi da parte di stati membri (la Germania certamente, ma non è da meno il ruolo della rigidissima Finlandia) ad altri, certamente meno virtuosi.
Ma con quale diritto? E’ sensato arrivare alla macelleria sociale greca (o anche alla nostra) per inseguire i teutonici? E’, ancora, una contrapposizione nord-sud come successo, per esempio, per l'accordo agricolo Ue Marocco? Ed è una fortuna che i britannici non ci stiano nell’euro, altrimenti la loro rigidità si sarebbe sommata a quelle del gruppo dei "virtuosi".
Siamo davvero convinti che le cose cambieranno e diverremo tutti virtuosi come frau Angela o andremo avanti a colpi di tasse e riduzione dei servizi? Forse sarebbe più opportuno ripensare a tutto il percorso di integrazione. Oppure, provocatoriamente, ripartire da zero ma con stesse condizioni per tutti. Sarebbe più accettabile per la gente comune (ma anche per Spinelli e Schumann...) e avrebbe anche più senso; così si potrebbe creare l'Europa dei popoli e non quella dei poveri.
Andrea Martire
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