Secondo la già
citata (da queste colonee) Direttiva 104 del 2008, “il lavoro tramite agenzia interinale risponde
non solo alle esigenze di flessibilità delle imprese ma anche alla necessità di
conciliare la vita privata e la vita professionale dei lavoratori dipendenti. Contribuisce
pertanto alla creazione di posti di lavoro e alla partecipazione al mercato del
lavoro e all’inserimento in tale mercato”.
Il legislatore comunitario formula (a differenza
che per il contratto a tempo determinato) una prognosi positiva per il lavoro
interinale, in termini di valore sociale, per la capacità che le parti sociali
ritengono abbia, al fine di aprire l’accesso al mondo del lavoro e consentire
l’inserimento graduale di lavoratori svantaggiati, anche in tempi di recessione
economica.
Le motivazioni
principali di ricorso a tale strumento sono da annoverarsi:
·
nelle fluttuazioni della attività
lavorativa, ad esempio sostituzioni di personale assente per varie motivazioni,
stagionalità della produzione, picchi di lavoro inaspettati, ciclo economico;
·
per attività continuative ad esempio
per il reclutamento e la selezione di personale e/o per la variabilità del
costo;
·
per la necessità di personale
specializzato difficilmente reperibile sul mercato.
Statisticamente[1], i
settori maggiormente interessati in ordine di sbocco occupazionale, sono: i
servizi, il metalmeccanico e l’industria, il commercio e l’alberghiero, il socio
sanitario (con differenze tra il nord e il sud della Penisola).
Al lavoro temporaneo gli Stati Europei, si sono avvicinati sin dal secondo
dopoguerra, anche se spesso in modo distaccato e alquanto scettico e ostacolati
dalle varie forze sindacali poco propense ad accettare una forma di occupazione
temporanea, perché temevano che potesse portare solo a una sovrabbondanza di
posti di lavoro, a fronte però di una precarietà istituzionalmente introdotta
dal lavoro temporaneo.
Solo negli
anni settanta, quando ci si rese conto che in realtà il collocamento pubblico
non era più in grado di far fronte a un mercato del lavoro sempre più alla
ricerca di soluzioni flessibili, la parte sindacale e le forze politiche più
scettiche si spinsero verso questo strumento contrattuale.
In Europa con l’espressione lavoro temporaneo si faceva riferimento a
contratti caratterizzati dalla temporaneità della prestazione di lavoro
effettuata in favore di un certo soggetto.
Tra le tipologie contrattuali utilizzate si poteva anche inserire il
cosiddetto rapporto di lavoro interinale che prevedeva una relazione a tre,
fondata su un doppio rapporto contrattuale in base al quale un’agenzia di
lavoro interinale (impresa fornitrice) inviava temporaneamente un lavoratore,
da essa stessa assunto, presso un terzo soggetto utilizzatore (impresa cliente
o utilizzatrice), per effettuare una determinata attività lavorativa sotto la
direzione e il controllo di quest’ultima.
C’è da dire
che non esiste un unico modello vincente di legge sul lavoro temporaneo, in
quanto ogni legge deve essere considerata nell’ambito dello Stato in cui viene
promulgata, tenendo conto delle influenze e pressioni che l’hanno generata e
per i risultati che genera all’interno del sistema. Dall’analisi sulla legislazione vigente
nei diversi Paesi Europei risulta però evidente che, a fronte di numerose
differenze, esiste un unico elemento comune a tutti: la presenza di una
relazione triangolare che lega il lavoratore, l’agenzia per il lavoro e l’impresa utilizzatrice.
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