Nel giorno della tragedia di Lampedusa la riflessione
ci porta a considerare un altro fenomeno tragicamente attuale, il land grabbing.
Ci eravamo già soffermati proprio su queste
colonne sulla relazione tra mercato e abuso e oggi
ci proponiamo di dimostrare come, spesso, questo fenomeno dal nome difficile e
di cui si parla poco arrivi a produrre ciò per cui più di cento persone sono
morte ieri. Una chiave di lettura diversa, forse utile a combattere le “astuzie
della mente” di hegeliana memoria che a volte complicano anche le cose semplici.
Due giorni or sono è uscito il report “Zucchero
amaro” di Oxfam Italia che racconta come si sta
evolvendo una delle più usate commodity alimentari del mondo, lo zucchero. La
vita di milioni di persone che vivono laddove i principali beni alimentari
(grano, tabacco) vengono prodotti è legata a doppio filo all’andamento dei
mercati. Se tra sei mesi il tabacco in Europa non si vende più l’economia del
centro-America sarà sconvolta perché i campi saranno abbandonati e milioni di
honduregni e panamensi dovranno riorganizzarsi in fretta se non vorranno avere
grandi guai economici. Ma il contrario è forse peggiore. Lo zucchero si sta
apprezzando; cresce la domanda mondiale e le multinazionali hanno fiutato
l’affare.
La tendenza viene da lontano, è ormai decennale. In Europa ormai non
se ne produce quasi più, in Italia è rimasto qualche sparuto produttore tra
Emilia e Veneto ma ormai, essendo venuto meno il premio
della vecchia Pac
produrre zucchero costa troppo. E poi quello
caraibico di canna ha preso piede nei consumi e risulta meno lavorato
industrialmente.
Lo zucchero è
un mercato dominato dalla domanda.
Il Rapporto Oxfam evidenzia come nel 1998 una
comunità di pescatori del Pernambuco, siamo nel Brasile
pre-Lula, fu letteralmente sfrattata dalle terre
che abitava da sempre per far impiantare uno stabilimento di produzione di
zucchero che rifornisse il maggior compratore mondiale, una multinazionale del beverage. Nel 2006
successe una cosa ancora più grave in Cambogia, paese dalla grande dignità e
dall’immensa povertà. La popolazione cacciata è ricorsa alla Corte di Giustizia
Internazionale, vedremo se prevarrà lo jus cogens della carta delle Nazioni
Unite o l’interesse economico della multinazionale.
Il commercio mondiale dello
zucchero è un business globale che vale oggi circa 47 miliardi di dollari.
L’anno scorso nel mondo sono state prodotte 176 milioni di tonnellate di
zucchero, di cui il 50% è destinato all’industria alimentare. Già oggi, la
superficie utilizzata per la coltivazione di canna da zucchero è di 31 milioni
di ettari: un’area grande come l’Italia, per lo più concentrata nei paesi in via
di sviluppo.
Ma il mercato
richiede produzione e la produzione richiede terra. Chi ha la forza di opporsi
ai giganti economici e politici come le multinazionali del beverage? Anche da qui prende
le mosse il neo-colonialismo odierno, il land grabbing.
Sta succedendo anche in
Africa, in questo caso sono i cinesi che procedono all’acquisto delle terre e
poi all’espulsione più o meno indotta di chi ci ha sempre vissuto e lì ha le
proprie radici. E’ un colonialismo brutale come ogni colonialismo. Ma è
finanziario, senza esercito, senza presenza fisica. Non c’è bisogno, si comprano
la terra su cui stai e addio diritto di proprietà.
Lo zucchero sta distruggendo
ettari e popolazioni in tutto il mondo. I cambogiani magari nel Mediterraneo non
ci arrivano ma i maliani e i mauritani sì. E qualche volta finisce con centinaia
di morti sulle coste di Lampedusa.
Esercitare bene la facoltà di essere
consumatori avveduti è fondamentale anche per questo.
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