La locazione di lavoro per lungo tempo è stata vietata dal nostro
ordinamento giuridico.
La normativa di riferimento in
materia è stata, fino alla sua definitiva abrogazione ad opera della Legge
Biagi del 2003, la Legge n. 1369 del 1960[1].
Il realizzarsi di tutte le fattispecie vietate dall’art.1 della Legge n.1369
del 1960 comportava, che i lavoratori
venissero considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze dell’imprenditore
che effettivamente aveva utilizzato le loro prestazioni.
Accanto al divieto d’intermediazione
di manodopera, vigeva una regolamentazione del mercato del lavoro, con il
monopolio pubblico del collocamento[2].
Tale monopolio era destinato però
a scontrarsi con la giurisprudenza comunitaria che qualificava gli uffici
pubblici di collocamento come impresa, soggetta quindi agli obblighi di libera
concorrenza, ma in quanto titolari di un monopolio legale del servizio di
collocamento in esclusiva, avevano e abusavano di una posizione dominante.
La suddetta posizione dominante fu
considerata illegittima e anticoncorrenziale, in quanto non consentiva ai
privati di svolgere la medesima attività.
Nel 1997, con la Legge n. 196,
per la prima volta in Italia fu ammessa un’eccezione al generale divieto d’interposizione
di manodopera, con l’introduzione del lavoro interinale[3].
Secondo la
maggioranza degli operatori presenti sul mercato italiano la Legge n.196, era tra
le migliori in Europa.
Era ispirata ai
principi di flessibilità per le aziende, e di sicurezza e tutela economica per
i lavoratori, attraverso il principio dell’equiparazione delle retribuzioni ed era
presa come riferimento da tutti quei Paesi che ancora non avevano una normativa
specifica sul lavoro a tempo.
Punto centrale del
sistema era l’impresa fornitrice (la società di fornitura di lavoro temporaneo)
che ricercava e assumeva lavoratori dipendenti, con un contratto per
prestazioni di lavoro temporaneo, con lo scopo di porli a disposizione di un
altro soggetto (impresa utilizzatrice) che li impiegava con le modalità, per la
durata e alle condizioni disciplinate dal contratto di fornitura. La nota che
traspare da questo rapporto triangolare consisteva nella mancanza di una
relazione contrattuale diretta tra l’impresa utilizzatrice e il lavoratore.
Le causali di
ricorso erano disciplinate dall’art. 1 comma 2 della Legge n.196 del 1997,
ovvero:
·
nei casi previsti dal contratto collettivo
dell’impresa utilizzatrice;
·
nelle qualifiche non previste dal
normale assetto produttivo aziendale;
·
per la sostituzione di lavoratori
assenti.
La legge stabiliva
tra l’altro la presenza di percentuali di utilizzo e rimandava alla
contrattazione collettiva di categoria dell’azienda utilizzatrice,
l’indicazione della percentuale.
Il contratto poteva
essere prorogato per massimo quattro volte, come previsto dall’art.28 del CCNL
delle Società di Fornitura di Lavoro Temporaneo per un periodo complessivo (di
proroga) non superiore ai ventiquattro mesi[4].
Il lavoratore era assunto con un
contratto di prestazioni di lavoro a tempo determinato o indeterminato.
[1] La legge n.1369 del 1960, all’art. 1 disponeva: “È vietato all’imprenditore di affidare in appalto o in subappalto o in
qualsiasi altra forma, anche a società cooperative, l’esecuzione di mere
prestazioni di lavoro mediante impiego di manodopera assunta e retribuita
dall’appaltatore o dall’intermediario, qualunque sia la natura dell’opera o del
servizio cui le prestazioni si riferiscono. È altresì vietato all’imprenditore
di affidare ad intermediari, siano questi dipendenti, terzi o società anche se
cooperative, lavori da eseguirsi a cottimo da prestatori di opere assunti e
retribuiti da tali intermediari. È considerato appalto di mere
prestazioni di lavoro ogni forma di appalto o subappalto, anche per esecuzione
di opere o di servizi, ove l’appaltatore impieghi capitali, macchine ed
attrezzature fornite dall’appaltante, quand’anche per il loro uso venga
corrisposto un compenso all’appaltante.”
[2] Il regime di monopolio pubblico
del collocamento era regolato dalla Legge n. 264 del 1949 ed era munito di un
apparato sanzionatorio anche di natura penale.
[3] La locuzione “interinale” deriva
dal latino interim, che significa provvisorio. Abbinata al termine “lavoro”
rappresenta una forma di rapporto di lavoro che ha durata temporanea.
[4] Art. 28 : “1. Con riferimento al dettato previsto
all’art. 3, comma 4, della Legge 196/97, il periodo di assegnazione iniziale,
può essere prorogato per un massimo di quattro volte e per una durata
complessiva delle proroghe non superiore a 24 mesi, fermo restando che - agli
effetti retributivi - il periodo si configura come un’unica missione.
2. Resta
inteso che nei casi di fornitura di cui alle lettere b) e c) del comma 2°
dell’art. 1 della Legge 196/97, il periodo iniziale della missione può essere
prorogato fino alla permanenza delle causali che lo hanno posto in essere.
5. Le Parti
ribadiscono che la materia delle
proroghe è di esclusiva competenza del contratto collettivo”.
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