lunedì 12 agosto 2013

Il lavoro interinale #laflessibilitasicura

La locazione di lavoro per lungo tempo è stata vietata dal nostro ordinamento giuridico.
La normativa di riferimento in materia è stata, fino alla sua definitiva abrogazione ad opera della Legge Biagi del 2003, la Legge n. 1369 del 1960[1].
Il realizzarsi di tutte le fattispecie vietate dall’art.1 della Legge n.1369 del 1960 comportava,  che i lavoratori venissero considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze dell’imprenditore che effettivamente aveva utilizzato le loro prestazioni.
Accanto al divieto d’intermediazione di manodopera, vigeva una regolamentazione del mercato del lavoro, con il monopolio pubblico del collocamento[2].
Tale monopolio era destinato però a scontrarsi con la giurisprudenza comunitaria che qualificava gli uffici pubblici di collocamento come impresa, soggetta quindi agli obblighi di libera concorrenza, ma in quanto titolari di un monopolio legale del servizio di collocamento in esclusiva, avevano e abusavano di una posizione dominante.
La suddetta posizione dominante fu considerata illegittima e anticoncorrenziale, in quanto non consentiva ai privati di svolgere la medesima attività.
Nel 1997, con la Legge n. 196, per la prima volta in Italia fu ammessa un’eccezione al generale divieto d’interposizione di manodopera, con l’introduzione del lavoro interinale[3].
Secondo la maggioranza degli operatori presenti sul mercato italiano la Legge n.196, era tra le migliori in Europa.
Era ispirata ai principi di flessibilità per le aziende, e di sicurezza e tutela economica per i lavoratori, attraverso il principio dell’equiparazione delle retribuzioni ed era presa come riferimento da tutti quei Paesi che ancora non avevano una normativa specifica sul lavoro a tempo.
Punto centrale del sistema era l’impresa fornitrice (la società di fornitura di lavoro temporaneo) che ricercava e assumeva lavoratori dipendenti, con un contratto per prestazioni di lavoro temporaneo, con lo scopo di porli a disposizione di un altro soggetto (impresa utilizzatrice) che li impiegava con le modalità, per la durata e alle condizioni disciplinate dal contratto di fornitura. La nota che traspare da questo rapporto triangolare consisteva nella mancanza di una relazione contrattuale diretta tra l’impresa utilizzatrice e il lavoratore.
Le causali di ricorso erano disciplinate dall’art. 1 comma 2 della Legge n.196 del 1997, ovvero:
·                     nei casi previsti dal contratto collettivo dell’impresa utilizzatrice;
·                     nelle qualifiche non previste dal normale assetto produttivo aziendale;
·                     per la sostituzione di lavoratori assenti.
La legge stabiliva tra l’altro la presenza di percentuali di utilizzo e rimandava alla contrattazione collettiva di categoria dell’azienda utilizzatrice, l’indicazione della percentuale.
Il contratto poteva essere prorogato per massimo quattro volte, come previsto dall’art.28 del CCNL delle Società di Fornitura di Lavoro Temporaneo per un periodo complessivo (di proroga) non superiore ai ventiquattro mesi[4].
Il lavoratore era assunto con un contratto di prestazioni di lavoro a tempo determinato o indeterminato.



[1] La legge n.1369 del 1960, all’art. 1 disponeva: “È vietato all’imprenditore di affidare in appalto o in subappalto o in qualsiasi altra forma, anche a società cooperative, l’esecuzione di mere prestazioni di lavoro mediante impiego di manodopera assunta e retribuita dall’appaltatore o dall’intermediario, qualunque sia la natura dell’opera o del servizio cui le prestazioni si riferiscono. È altresì vietato all’imprenditore di affidare ad intermediari, siano questi dipendenti, terzi o società anche se cooperative, lavori da eseguirsi a cottimo da prestatori di opere assunti e retribuiti da tali intermediari. È considerato appalto di mere prestazioni di lavoro ogni forma di appalto o subappalto, anche per esecuzione di opere o di servizi, ove l’appaltatore impieghi capitali, macchine ed attrezzature fornite dall’appaltante, quand’anche per il loro uso venga corrisposto un compenso all’appaltante.”
[2] Il regime di monopolio pubblico del collocamento era regolato dalla Legge n. 264 del 1949 ed era munito di un apparato sanzionatorio anche di natura penale.
[3] La locuzione “interinale” deriva dal latino interim, che significa provvisorio. Abbinata al termine “lavoro” rappresenta una forma di rapporto di lavoro che ha durata temporanea.
[4] Art. 28 : “1. Con riferimento al dettato previsto all’art. 3, comma 4, della Legge 196/97, il periodo di assegnazione iniziale, può essere prorogato per un massimo di quattro volte e per una durata complessiva delle proroghe non superiore a 24 mesi, fermo restando che - agli effetti retributivi - il periodo si configura come un’unica missione.
2. Resta inteso che nei casi di fornitura di cui alle lettere b) e c) del comma 2° dell’art. 1 della Legge 196/97, il periodo iniziale della missione può essere prorogato fino alla permanenza delle causali che lo hanno posto in essere.
5. Le Parti ribadiscono  che la materia delle proroghe è di esclusiva competenza del contratto collettivo”.

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