lunedì 1 luglio 2013

Modello sociale europeo #laflessibilitasicura

Dai primi anni ottanta si è cominciato a pensare che le rigidità del mercato del lavoro e la mancanza di “dinamismo” del sistema di protezione sociale, fossero le cause di una persistente alta disoccupazione e dei bassi livelli di crescita[1].
Negli anni novanta[2]si è andato diffondendo un sostanziale consenso riguardo al fatto che i cambiamenti nelle condizioni socio economiche e la presenza di un mercato globalizzato, avevano reso obsoleto e inefficiente il così detto “modello sociale europeo”.  
Cosa s’intende per modello sociale europeo? La letteratura tende classificare il modello sociale europeo, suddividendolo in quattro diverse tipologie, con differenti prospettive e caratteristiche: il modello anglosassone, il modello nordico, il modello continentale e il modello mediterraneo[3].
Le caratteristiche di questi quattro modelli[4], si possono cosi riassumere:
·                     modello anglosassone: caratterizzato da alta flessibilità del lavoro, protezione sociale concentrata su mezzi di ultima istanza[5];
·                     modello nordico[6]: caratterizzato da alta flessibilità del lavoro, alti livelli di protezione sociale e forti ed incisive politiche attive;
·                     modello continentale[7]: caratterizzato da bassa flessibilità del lavoro e alta protezione sociale;
·                     modello mediterraneo[8]: caratterizzato da alta protezione del lavoro (e conseguente bassa flessibilità) alti livelli di protezione sociale basati sul principio contributivo.
I motivi della crisi del sistema sociale europeo sono da annoverarsi principalmente nella bassa flessibilità del mercato del lavoro, nella sicurezza sociale di tipo assistenziale ed infine in una progressiva e continua segmentazione del mercato del lavoro.
Si è cominciato quindi ad analizzare quali possono essere le strade possibili per andare incontro a strategie di crescita e di sviluppo.
Il modello danese[9] e olandese hanno mostrato di saper ben fronteggiare le dinamiche del mercato del lavoro.  
In questi due Stati, la sicurezza sociale e la flessibilità del mercato del lavoro convivono in maniera molto armoniosa.
Gli esperti del settore parlano, infatti, di “triangolo d’oro danese”, caratterizzato da:
·                     livello di protezione dell’impiego basso;
·                     generoso sistema di protezione sociale di carattere universalistico;
·                     elevati investimenti nelle politiche attive per il lavoro[10].




[1]“The role of shocks and institutions in the rise of European 33” Blanchard e Wolfers, 2000.
[2]“Is the European social model fragmenting?” in, New Political  Economy,  Grahl e Teaugueb, 1997.
[3] “The World does not owe us a living!”, paper  prepared for the policy network project on the future of the European Social model,  Giddens,  2005.
[4]The three worlds of welfare capitalism”, Princeton  University Press, Esping e Andersen, 1990. Si veda anche:  Ferrera: “The Four Social Europes: between Universalism and Selectivity”, in Rhodes e Meny, The Future of European welfare: a new social contract,  1997.
[5] La Gran Bretagna è stata forse l’unico Stato che negli anni ottanta, ha tentato una riforma radicale del mercato del lavoro e del sistema di protezione sociale con il Primo ministro Margaret Thatcher dal 1979 al 1990.
[6] Paesi scandinavi e Olanda.
[7] Francia, Germania, Austria, Belgio e Lussemburgo.
[8] Italia, Spagna, Portogallo e Grecia.
[9] Il Governo della Danimarca, afferma che il proprio modello di flexicurity si basa su un efficiente “triangolo d’oro”: flessibilità del mercato del lavoro, welfare state e politiche attive del mercato del lavoro a sostegno delle conseguenze “indesiderate” della flessibilità stessa.
[10] Riqualificazione, formazione e istruzione continua.

2 commenti:

  1. Caro Andrea, l'analisi degli assetti sociali europei è esaudiente, ma va assolutamente considerato che ciascuna delle sottocategorie ha una fore relazione con il modello di sviluppo delle aziende. I modelli anglosassone e nordico sono inseriti in un contesto dove la burocrazia è pressochè inesistente e quindi le aaziende nascono, si evolvono, cambiano e muoiono per poi rinascere con estrema facilità e dinamicità. Ovviamente anche la conversione delle aziende è altrettanto dinamica, quindi la flessibilità del mondo del lavoro è una delle flessibilità che è possibile rintracciare nei paesi nordici.
    Di contro la rigidità che troviamo in Italia e nell'area mediterranea, con un elevato tasso di assistenzialismo passivo, è una delle facce del prisma "Macchina Pubblica".
    Sono convinto che qualsiasi riforma nel nostro paese, anche la migliore, rischia di avere insiccesso per il semplice fatto che il sistema nel suo complesso è rigido e sclerotizzato.
    Dobbiamo assolutamente rivedere il funzionamento dello stato. Il punto è la spesa pubblica: non meno spesa pubblica ma minore e migliore. Iniziando a razionalizzare veramente l'apparato. Io inizio a pensare che intaccare qualche diritto acquisito in riferimento ai lavoratori pubblici è necessario se vogliamo lasciare qualche diritto in eredità alle future generazioni, altrimenti ai nostri figli lasceremo un paese tra le macerie, ma senza piano Marshall.
    E te lo dice una persona che ha sempre creduto nell'economia keynesiana.

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  2. Sono d'accordo con te, d'altra parte il declassamento dell'Italia è proprio basato sulla rigidità del mercato del lavoro che rallenta la crescita. Sul lavoro pubblico sono d'accordo pienamente con te, serve anche la meritocrazia per le crescita.

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