mercoledì 5 giugno 2013

Ulteriori contributi sulla applicabilità dei limiti risarcitori del Collegato Lavoro alla somministrazione di lavoro di Mauro Soldera

La disciplina della somministrazione di lavoro – in sé e nel suo rapporto con il contratto a termine – è tuttora campo di travaglio interpretativo.
Qualche settimana fa, persino la Corte di Giustizia Europea aveva avuto occasione di intervenire sul punto in conseguenza della sollecitazione ricevuta dal Tribunale di Napoli. Il Giudice italiano chiedeva se potesse ritenersi compatibile con il quadro di norme europee la previsione che nella somministrazione esclude l’applicabilità degli obblighi di interruzione tra un contratto a termine e l’altro.
La Corte, in sintesi, ha precisato che la differenza di disciplina tra il contratto a termine diretto ed il contratto a termine a scopo di somministrazione è compatibile con le disposizioni europee che, appunto, tracciano diverse e specifiche linee di indirizzo tra le due fattispecie.
La vicenda fornisce spunto per un dovizioso intervento interpretativo da parte di un Consigliere della Corte d’Appello di Roma, reperibile all’indirizzo: http://www.magistraturademocratica.it/mdem/qg/articolo.php?id=121
Le considerazioni proposte inducono a qualche perplessità con riferimento principalmente a due punti.
  1. l’autrice, dopo aver analizzato l’intervento della Corte UE, propone di sottoporre l’esclusione dell’obbligo di interruzione tra contratti di lavoro in somministrazione ad una ulteriore valutazione di compatibilità con la Direttiva europea sul lavoro tramite agenzia (2008/104CE). Il passaggio a quanto si comprende potrebbe riassumersi cosi: la Corte UE ha affermato il principio per cui una differente disciplina tra contratto a termine diretto e contratto a termine a scopo di somministrazione non è incompatibile con la disciplina europea, ma la singola previsione che esclude per questo secondo contratto l’obbligo di interruzione è compatibile con la Direttiva che la riguarda?
La risposta sarebbe negativa, in ragione del fatto che, in tal modo, si violerebbe il principio di parità di trattamento tra lavoratori diretti e somministrati, elemento cardine delle disposizioni europee sul tema.
Ragionando in questi termini, però, bisognerebbe chiedersi quale spazio possa avere il principio di “separazione” ribadito dalla Corte UE se poi, nel concreto, la disciplina dei due contratti debba essere identica in forza di tale principio. La perplessità è ulteriormente accentuata dal fatto che la parità di trattamento è richiamata dalle disposizioni UE con riferimento al periodo della “missione” (trattamento equivalente a quello dei lavoratori diretti in forza presso l’utilizzatore e che svolgano il medesimo lavoro); mentre nel caso di specie si sta discutendo della successione di due contratti, dunque di un periodo di non lavoro. Si ricade appunto da una valutazione concreta del trattamento ad una valutazione prettamente teorica, di disciplina, con i dubbi sopra indicati.
Con il ragionamento proposto dal Consigliere, inoltre, si dimostra di non tenere in minimo conto il fatto che il lavoro in somministrazione si distingue dal contratto a termine diretto per la circostanza oggettiva di veder coinvolto un terzo soggetto (l’agenzia per il lavoro) che per professione svolge un ruolo di intermediazione e collocamento nel mercato del lavoro e può essere in grado di proporre al lavoratore, cessato un giorno, di dare continuità alla propria attività lavorativa già il giorno successivo. Nel pieno rispetto – nell’una e nell’altra esperienza – del principio di parità di trattamento verso i lavoratori diretti presso i diversi utilizzatori.
Tale soluzione, del resto, di per sé non impedisce di perseguire eventuali abusi; si veda in proposito la circolare n. 7/2005 Ministero del Lavoro.
E’ evidente che la circostanza di avere un terzo soggetto professionalmente “interessato” e coinvolto nelle vicende lavorative del lavoratore è elemento distintivo e qualificante della fattispecie; elemento che, in quanto tale, non può non essere stato preso in considerazione dalle istituzioni europee nella decisione di dare disciplina diversa a contratto a termine da un lato e lavoro tramite agenzia interinale dall’altro.
  1. In secondo luogo, mentre come visto il principio della parità di trattamento è assunto come presupposto per negare la compatibilità della norma della somministrazione rispetto alla disciplina europea, la disparità di trattamento ribadita come legittima dalla Corte UE è presa dal Consigliere come elemento per ritenere preferibile la tesi per cui i limiti di risarcibilità in caso di conversione giudiziale del rapporto a termine non sarebbero applicabili al rapporto di somministrazione (Collegato Lavoro art. 32, c. 5).
      (Sul punto si è invece espressa favorevolmente Cassazione n. 1148/2013 e negli ultimi giorni Cassazione n. 13404/2013 proprio partendo dalla sentenza della Corte UE, ma la  giurisprudenza non è consolidata sul punto).

      Può essere utile riportare il passaggio sul punto: “La pronuncia dei giudici di Lussemburgo giustifica infatti ampiamente la differenza tra i due istituti e ciò può ragionevolmente comportare anche una equilibrata (sic) disparità di trattamento sul piano sanzionatorio”.

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