La disciplina della somministrazione di lavoro – in sé e nel
suo rapporto con il contratto a termine – è tuttora campo di travaglio interpretativo.
Qualche settimana fa, persino la Corte di Giustizia Europea
aveva avuto occasione di intervenire sul punto in conseguenza della
sollecitazione ricevuta dal Tribunale di Napoli. Il Giudice italiano chiedeva
se potesse ritenersi compatibile con il quadro di norme europee la previsione
che nella somministrazione esclude l’applicabilità degli obblighi di
interruzione tra un contratto a termine e l’altro.
La Corte, in sintesi, ha precisato che la differenza di
disciplina tra il contratto a termine diretto ed il contratto a termine a scopo
di somministrazione è compatibile con le disposizioni europee che, appunto,
tracciano diverse e specifiche linee di indirizzo tra le due fattispecie.
La vicenda fornisce spunto per un dovizioso intervento
interpretativo da parte di un Consigliere della Corte d’Appello di Roma,
reperibile all’indirizzo: http://www.magistraturademocratica.it/mdem/qg/articolo.php?id=121
Le considerazioni proposte inducono a qualche perplessità con
riferimento principalmente a due punti.
- l’autrice, dopo aver analizzato l’intervento della Corte UE, propone di sottoporre l’esclusione dell’obbligo di interruzione tra contratti di lavoro in somministrazione ad una ulteriore valutazione di compatibilità con la Direttiva europea sul lavoro tramite agenzia (2008/104CE). Il passaggio a quanto si comprende potrebbe riassumersi cosi: la Corte UE ha affermato il principio per cui una differente disciplina tra contratto a termine diretto e contratto a termine a scopo di somministrazione non è incompatibile con la disciplina europea, ma la singola previsione che esclude per questo secondo contratto l’obbligo di interruzione è compatibile con la Direttiva che la riguarda?
La risposta sarebbe negativa, in
ragione del fatto che, in tal modo, si violerebbe il principio di parità di
trattamento tra lavoratori diretti e somministrati, elemento cardine delle
disposizioni europee sul tema.
Ragionando in questi termini,
però, bisognerebbe chiedersi quale spazio possa avere il principio di
“separazione” ribadito dalla Corte UE se poi, nel concreto, la disciplina dei
due contratti debba essere identica in forza di tale principio. La perplessità
è ulteriormente accentuata dal fatto che la parità di trattamento è richiamata
dalle disposizioni UE con riferimento al periodo della “missione” (trattamento
equivalente a quello dei lavoratori diretti in
forza presso l’utilizzatore e che svolgano il medesimo lavoro); mentre nel
caso di specie si sta discutendo della successione di due contratti, dunque di
un periodo di non lavoro. Si ricade appunto da una valutazione concreta del
trattamento ad una valutazione prettamente teorica, di disciplina, con i dubbi
sopra indicati.
Con il ragionamento proposto dal
Consigliere, inoltre, si dimostra di non tenere in minimo conto il fatto che il
lavoro in somministrazione si distingue dal contratto a termine diretto per la
circostanza oggettiva di veder coinvolto un terzo soggetto (l’agenzia per il
lavoro) che per professione svolge un ruolo di intermediazione e collocamento
nel mercato del lavoro e può essere in grado di proporre al lavoratore, cessato
un giorno, di dare continuità alla propria attività lavorativa già il giorno
successivo. Nel pieno rispetto – nell’una e nell’altra esperienza – del
principio di parità di trattamento verso i lavoratori diretti presso i diversi
utilizzatori.
Tale soluzione, del resto, di per
sé non impedisce di perseguire eventuali abusi; si veda in proposito la
circolare n. 7/2005 Ministero del Lavoro.
E’ evidente che la circostanza di
avere un terzo soggetto professionalmente “interessato” e coinvolto nelle
vicende lavorative del lavoratore è elemento distintivo e qualificante della
fattispecie; elemento che, in quanto tale, non può non essere stato preso in
considerazione dalle istituzioni europee nella decisione di dare disciplina
diversa a contratto a termine da un lato e lavoro tramite agenzia interinale
dall’altro.
- In secondo luogo, mentre come visto il principio della parità di trattamento è assunto come presupposto per negare la compatibilità della norma della somministrazione rispetto alla disciplina europea, la disparità di trattamento ribadita come legittima dalla Corte UE è presa dal Consigliere come elemento per ritenere preferibile la tesi per cui i limiti di risarcibilità in caso di conversione giudiziale del rapporto a termine non sarebbero applicabili al rapporto di somministrazione (Collegato Lavoro art. 32, c. 5).
(Sul
punto si è invece espressa favorevolmente Cassazione n. 1148/2013 e negli
ultimi giorni Cassazione n.
13404/2013 proprio partendo dalla sentenza della Corte UE, ma la giurisprudenza non è consolidata sul
punto).
Può
essere utile riportare il passaggio sul punto: “La pronuncia dei giudici di Lussemburgo giustifica infatti ampiamente la differenza tra i due istituti e ciò
può ragionevolmente comportare anche una
equilibrata (sic) disparità di
trattamento sul piano sanzionatorio”.
Nessun commento:
Posta un commento