martedì 14 maggio 2013

Essere banchiere non vuol dire essere un criminale

La potenza dei giornali e dei guru: spesso essere definito un "banchiere", è considerato un attributo spregiativo, come fosse un marchio d'infamia. Ma perché nel tempo si è creata una fama così cattiva?  
Le banche italiane non sono colpevoli (come quelle americane) di aver causato la crisi finanziaria e poi aver beneficiato di ingenti risorse pubbliche per i loro salvataggi. 
Da noi lo Stato non ha speso un euro in salvataggi bancari, e gli istituti di credito sono stati coinvolti in modo molto limitato nelle sperimentazioni finanziarie “spiritose” che hanno terremotato la finanza mondiale.
La loro attuale situazione di crisi è a causa della grande mole di titoli di Stato che hanno in portafoglio: titoli cioè di un debito fatto nei decenni passati.
Altre critiche generalmente rivolte alle banche riguardano la poca disponibilità ad erogare credito. In queste osservazioni c'è del vero, ma in questo caso la prudenza, almeno in parte, è a sua volta motivata proprio dalla volontà di limitare i rischi in una situazione difficile (non dimentichiamoci i mutui americani e da dove parte la crisi economica).
Il campo in cui davvero le banche hanno mancato negli anni passati è quello della trasparenza: con condizioni poco chiare, costi a volte assurdi disinvoltamente addebitati, per non parlare di certi titoli rifilati all'ignaro cliente.
Naturalmente non si può fare di tutta un’erba un fascio. Serve moralità come in tutto quello che si fa.

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