martedì 9 aprile 2013

L'Europa e il mal di Mediterraneo di Andrea Martire

Dopo la carne equina al posto di quella di manzo, arriva un nuovo allarme alimentare dal vallo di Adriano. Il piatto nazionale, il fish&chips, pesce e patatine, importante per il fisco ed il costume nazionale come la pizza per noi, sarebbe prodotto con pangasio (volgare pesce del mar cinese del sud, viene soprattutto dal delta del Mekong, nei dintorni dell’ex Saigon) anziché con l’elegante e meno prosaico merluzzo del mare del nord.
 La scoperta è recente e ancora non si sa se si tratta di un caso isolato o di una produzione industriale. Ma c’era da aspettarselo, anzi, forse nemmeno finisce qui.
Il pangasio costa un quarto del merluzzo, pare che contenga mercurio, ha un sapore simile (ma diversa consistenza). Ma non è colpa sua se finisce nel fish&chips.
Il primo problema che questa notizia, ma in generale tutte le notizie in cui si usa un ingrediente che non è quello dichiarato, è che l’ignaro consumatore non sa quello che mangia. La truffa può diventare frode ed ha certamente implicazioni sulla salute della collettività; non solo, ma se mi vendi per merluzzo il pangasio, cioè un alimento inferiore, non mi puoi chiedere lo stesso prezzo del merluzzo. Devi chiedere di meno.
Ci sono poi risvolti etici; come viene pescato questo pesce? L’ambiente viene rispettato? Quale autorità ha vigilato? E, ancora, come vengono retribuiti i pescatori cinesi e vietnamiti? Per non parlare del lungo viaggio, con conseguente emissione di tonnellate e tonnellate di co2, che il pangasio lascia dietro di se’.

Il mercato del pesce più importante del mondo, dove recentemente la polizia ha scoperto questa ed altre frodi alimentari non è sul mare. E’ l’aeroporto di Francoforte. Quindi, se tutto va bene, il povero pangasio giungerà al consumatore europeo dopo 2-3 giorni dalla sua morte.

Perché avviene questo fenomeno? Perché ci sono aziende disoneste e perché, ancora una volta, l’Europa non è stata capace di difendersi. La politica comune della pesca ha imposto divieti (il divieto della pesca del tonno, il contingentamento della pesca del merluzzo), agito sui prezzi (l’aliquota unica sul gasolio per i pescherecci), sulle regole (il divieto dello strascico, il divieto di pesca dei datteri di mare) ma contemperare i vari interessi non è bastato a dotarsi di una normativa positiva e propositiva. Ci sono solo divieti.
Il risultato è stato spingere i pescherecci comunitari lontano dal Mediterraneo e dal mare del nord, verso l’Atlantico, dove non riescono a reggere la concorrenza dei potenti giapponesi. Per di più la solita lobby di multinazionali e paesi del nord ha impedito che si arrivasse all’etichettatura obbligatoria del pesce. La crisi economica, l’aumento del gasolio, la caduta del mark up delle imprese ittiche ha fatto il resto. Ed ecco che si arriva al pangasio. Ci sono sicuramente persone poco oneste in giro, ma se vogliamo salvare il comparto marittimo, una bella fetta di dieta mediterranea, la salute pubblica, l’ambiente, dobbiamo subito andare in Europa a difendere (anche) le nostre posizioni. E per farlo serve un governo, una credibilità ed una coesione nazionale che al momento appaiono lontane.  

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