venerdì 5 aprile 2013

Disoccupazione: dare la colpa alla riforma Fornero è la moda del momento. Ma è proprio così?


Che Italia…
Invito i lettori a leggere le rassegne stampe dei giorni successivi all’approvazione della Legge Fornero. Tutti sul carro dei vincitori, plauso per una riforma dovuta, richiesta a gran voce dall'Europa e fatta in poco tempo e ora tutti fanno retromarcia.
Vorrei in questo post non dare giudizi ma invitare tutti alla coerenza. Ricordiamoci che la Riforma è frutto di un compresso sofferto (e solo in parte realizzato) tra Governo, partiti e parti sociali.
La riforma prometteva interessanti novità per l'emersione del lavoro nero e per combattere la flessibilità cattiva: provate a lavorare con un contratto part-time in associazione di partecipazione, ma avendo un carico di lavoro da full-time, ferie praticamente nulle, festività lavorate non riconosciute,e tanto altro ancora.
Allora forse è meglio ripercorrere cronologicamente i momenti salienti che hanno portato a questa riforma per capire come ci si è arrivati e se è giusto o meno criticarla. Ci tengo a sottolineare che la riforma è migliorabile ma è semplice e assai riduttivo dare solo la colpa al Ministro.
Ai primi di agosto del 2011, la Banca Centrale Europea (Bce), inviò al Governo Italiano una lettera, con la quale sollecitava alcune misure incisive finalizzate a riattivare la nostra crescita economica. Fra queste, il decentramento del nostro sistema della contrattazione collettiva, la flessibilizzazione della nostra disciplina dei licenziamenti, e infine, l’introduzione di tutele economiche e professionali e un’assistenza effettiva e intensiva nel mercato del lavoro a favore dei lavoratori che hanno perso il posto di lavoro. A metà agosto, in risposta a questa sollecitazione della Banca Centrale Europea, il Governo Italiano approvò una nuova legge che ha drasticamente incentivato il ruolo della contrattazione aziendale. Più precisamente la nuova norma (l’articolo 8 del Decreto Legge n. 138 del 2011, convertito in Legge n. 148 del 2011) prevede che ogni contratto aziendale o territoriale firmato da una o più organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale, può derogare non solo ad ogni contratto collettivo nazionale, ma anche all’intera legislazione nazionale del lavoro, inclusa la disciplina dei licenziamenti ed escluse solo le norme costituzionali e quelle contenute nelle convenzioni internazionali e nelle direttive europee. Grazie a questa norma, ogni imprenditore “innovatore”, se ha di fronte rappresentanti sindacali lungimiranti, può inserire nella propria azienda un diritto del lavoro snello, basato su di una coniugazione della massima flessibilità delle strutture produttive, con la massima sicurezza del lavoratore.
La lettera con cui nell’ottobre del 2011, il Governo Berlusconi, rispose alle richieste che ci pervenivano dalla Commissione Europea in tema di lavoro e licenziamenti, avrebbe potuto costituire un punto di partenza costruttivo per arrivare all’obiettivo di una nuova rete di assicurazione e protezione sociale, ma ha invece generato una risposta ansiogena e fuori controllo da parte dei cittadini e delle principali sigle sindacali. La stessa sorte è toccata alla proposta di riforma del lavoro del Governo Monti, nel marzo del 2012 e al conseguente Disegno di Legge del 6 Aprile 2012 e alla Legge n.92 di Luglio.
Questo perché alcuni mass media, nei giorni successivi alla lettera, alla proposta di riforma, al Disegno di Legge e alla Legge, hanno lanciato alla pubblica opinione un motto, per molti incomprensibile e fuori da ogni logica, come “licenziare per assumere”.
Sarebbe stato invece necessario e responsabile, con l’accordo delle parti sociali e di tutti i partiti politici che appoggiavano il Governo, ascoltando anche le aziende presentare un progetto organico e strutturale di riforma che si configurasse come una reale proposta di modernizzazione rivolta al Paese, che avrebbe potuto contribuire al rilancio dell’economia e all’attrazione d’investimenti dall’estero, attraverso quella flessibilità in entrata ed in uscita che ci chiede l’Europa.  Un nuovo modo di intendere il lavoro come elemento dinamico teso al miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza dei sistemi produttivi, il tutto in una rinnovata idea di competitività. Non è stato fatto e tutti lo sapevano e ora trovo semplice e riduttivo dare la colpa alla Fornero.
Sicuramente qualcuno mi dirà: “la disoccupazione giovanile è passata dal 29% del 2011 al 40% del 2012”. E io ribatto: “Signori è colpa della riforma o colpa delle risorse inesistenti da investire per la crescita? “
E’ comodo ora sparare sul tecnico di turno. La politica, si prenda le sue responsabilità. La colpa della Fornero è stata quella di combattere fenomeni di abuso di contratti senza alcuna tutela, in uno Stato come quello Italiano, cronicamente piagato dall’assenza di lavoro, dove l’alternativa occupazionale è il lavoro nero sottopagato, senza alcun diritto e senza sindacato, nel tessuto malato dell’economia sommersa. Che si sappia.

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