Che Italia…
Invito i lettori a leggere le
rassegne stampe dei giorni successivi all’approvazione della Legge Fornero.
Tutti sul carro dei vincitori, plauso per una riforma dovuta, richiesta a gran
voce dall'Europa e fatta in poco tempo e ora tutti fanno retromarcia.
Vorrei in questo post non dare
giudizi ma invitare tutti alla coerenza. Ricordiamoci che la Riforma è
frutto di un compresso sofferto (e solo in parte realizzato) tra Governo,
partiti e parti sociali.
La riforma prometteva
interessanti novità per l'emersione del lavoro nero e per combattere la
flessibilità cattiva: provate a lavorare con un
contratto part-time in associazione di partecipazione, ma avendo un carico di
lavoro da full-time, ferie praticamente nulle, festività lavorate non
riconosciute,e tanto altro ancora.
Allora forse è
meglio ripercorrere cronologicamente i momenti salienti che hanno portato a
questa riforma per capire come ci si è arrivati e se è giusto o meno
criticarla. Ci tengo a sottolineare che
la riforma è migliorabile ma è semplice e assai riduttivo dare solo la colpa al
Ministro.
Ai primi di
agosto del 2011, la
Banca Centrale Europea (Bce), inviò al Governo Italiano una
lettera, con la quale sollecitava alcune misure incisive finalizzate a
riattivare la nostra crescita economica. Fra queste, il decentramento del
nostro sistema della contrattazione collettiva, la flessibilizzazione della
nostra disciplina dei licenziamenti, e infine, l’introduzione di tutele
economiche e professionali e un’assistenza effettiva e intensiva nel mercato
del lavoro a favore dei lavoratori che hanno perso il posto di lavoro. A metà
agosto, in risposta a questa sollecitazione della Banca Centrale Europea, il
Governo Italiano approvò una nuova legge che ha drasticamente incentivato il
ruolo della contrattazione aziendale. Più precisamente la nuova norma
(l’articolo 8 del Decreto Legge n. 138 del 2011, convertito in Legge n. 148 del
2011) prevede che ogni contratto aziendale o territoriale firmato da una o più
organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano
nazionale o territoriale, può derogare non solo ad ogni contratto collettivo
nazionale, ma anche all’intera legislazione nazionale del lavoro, inclusa la
disciplina dei licenziamenti ed escluse solo le norme costituzionali e quelle
contenute nelle convenzioni internazionali e nelle direttive europee. Grazie a
questa norma, ogni imprenditore “innovatore”, se ha di fronte rappresentanti
sindacali lungimiranti, può inserire nella propria azienda un diritto del lavoro snello, basato su di una
coniugazione della massima flessibilità delle strutture produttive, con la
massima sicurezza del lavoratore.
La lettera con cui nell’ottobre del 2011, il
Governo Berlusconi, rispose alle richieste che ci pervenivano dalla Commissione
Europea in tema di lavoro e licenziamenti, avrebbe potuto costituire un punto
di partenza costruttivo per arrivare all’obiettivo di una nuova rete di
assicurazione e protezione sociale, ma ha invece generato una risposta
ansiogena e fuori controllo da parte dei cittadini e delle principali sigle
sindacali. La stessa sorte è toccata alla proposta di riforma del lavoro del
Governo Monti, nel marzo del 2012 e al conseguente Disegno di Legge del 6 Aprile 2012 e
alla Legge n.92 di Luglio.
Questo perché
alcuni mass media, nei giorni successivi alla lettera, alla proposta di
riforma, al Disegno di Legge e alla Legge, hanno lanciato alla pubblica
opinione un motto, per molti incomprensibile e fuori da ogni logica, come “licenziare per assumere”.
Sarebbe stato
invece necessario e responsabile, con l’accordo delle parti sociali e di tutti
i partiti politici che appoggiavano il Governo, ascoltando anche le aziende
presentare un progetto organico e strutturale di riforma che si configurasse
come una reale proposta di modernizzazione rivolta al Paese, che avrebbe potuto
contribuire al rilancio dell’economia e all’attrazione d’investimenti
dall’estero, attraverso quella flessibilità in entrata ed in uscita che ci
chiede l’Europa. Un nuovo modo di intendere il lavoro come elemento dinamico teso al
miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza dei sistemi produttivi, il tutto in una
rinnovata idea di competitività. Non è stato fatto e tutti lo sapevano e ora
trovo semplice e
riduttivo dare la colpa alla Fornero.
Sicuramente qualcuno mi dirà: “la disoccupazione giovanile
è passata dal 29% del 2011 al 40% del 2012” . E io ribatto: “Signori è colpa della
riforma o colpa delle risorse inesistenti da investire per la crescita? “
E’ comodo ora sparare sul tecnico di turno. La politica,
si prenda le sue responsabilità. La colpa della Fornero è stata quella di combattere fenomeni di abuso di contratti senza alcuna tutela, in uno
Stato come quello Italiano, cronicamente piagato dall’assenza di lavoro, dove
l’alternativa occupazionale è il lavoro nero sottopagato, senza alcun diritto e
senza sindacato, nel tessuto malato dell’economia sommersa. Che si sappia.
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