Poche parole, ma doverose, per salutare l'ormai ex allenatore della Roma Zdenek Zeman. Gli è stata fatale l'ultima disfatta interna contro il Cagliari, ma la certezza è che qualcosa si fosse già rotta da prima. Una dirigenza che non sembra avergli dimostrato la fiducia necessaria, soprattutto a lui che è un tipo di allenatore al quale bisogna un po' dare carta bianca.
Zeman la scorsa Estate era ritornato a Roma per giocarsi un'ultima chance nel calcio che conta. Dopo anni di esilio, di certo non soltanto frutto di sue responsabilità. Come ben sappiamo.
La sensazione è che la sua scelta, da parte della dirigenza giallorossa, fosse stata più imposta dall'entusiasmo popolare che dettata da una ponderata valutazione. Prova ne è il fatto che prima che il tecnico boemo riapprodasse nella capitale, erano stati trattati diversi allenatori.
Già questo rende l'idea di come l'opzione Zeman non fosse stata seguita con molta convinzione.
Lui a mio avviso avrebbe dovuto sin da subito chiarire il fatto che dovesse essere costruita una squadra adatta al suo tipo di gioco. Un gioco, dove tanto per dirne una gli esterni sono fondamentali. Così come è impensabile giocare senza un regista di ruolo all'altezza della situazione. Ma è stata troppo forte in Zeman la voglia di ritornare a Roma e nella Roma. Dove aveva lasciato il cuore. E dove avrebbe ritrovato quello di numerosi tifosi che nel frattempo avevano continuato a seguirlo sempre e comunque. Zeman, pur di fronte ad un organico non confacente al tipo di calcio che da sempre predilige, ha accettato comunque. Definendo addirittura la rosa della Roma "da scudetto". E forse non immaginando che presto le sue dichiarazioni si sarebbero rivelate un boomerang.
Difficile racchiudere in poche righe tutto ciò che è accaduto in questi mesi (5 per l'esattezza) tra Zeman, giocatori, società, tifoseria e stampa. Sta di fatto che il suo modo di fare e di pensare si è scontrato con quello di Trigoria. Il tecnico boemo ha da sempre difeso ostinatamente le sue idee, imperniate sul sudore e sul sacrificio. Evidentemente non a tutti i suoi metodi sono piaciuti. Di solito le scelte su chi mandare in campo o meno in una squadra di calcio vengo effettuate dall'allenatore. Così come di solito l'allenatore stesso (a meno che non sia incapace di intendere e di volere e non si metta di traverso agli interessi della squadra) schiera in campo i giocatori che stanno meglio e che possono contribuire maggiormente a far vincere la squadra.
Quando Zeman si è permesso (!!) di scegliere chi mandare in campo o meno la Domenica, sottolineando che in campo non vanno i nomi, si è scatenato l'Inferno. Polemiche a non finire e tifosi schierati da una parte e dall'altra. Indubbiamente, e vediamo al dunque, anche Zeman ha sbagliato. Nell'insistere su determinate scelte in modo reiterato. Scelte che purtroppo non hanno sortito gli effetti sperati. In questo bisogna riconoscere che si è un po' dato la zappa sui piedi da solo. Ed è un peccato, perché Zeman alla fine va considerato soltanto la punta di un iceberg.
Il suo fallimento è anche quello di chi l'ha voluto, dei giocatori, di una piazza intera, quella giallorossa, troppo spesso abituata a cercare dei "capri espiatori" piuttosto che analizzare in modo sistematico le cause dei problemi.
Innanzitutto Zeman sulla panchina della Roma non ci si è messo da solo, ma c'è stato qualcuno che l'ha scelto. E lo ha fatto dopo un'annata disastrosa. Avendo quindi tutto il peso di una nuova decisione e ben sapendo di non poter sbagliare nuovamente.
Una delle critiche principali mosse a Zeman è stata quella di una scarsa adattabilità, in riferimento alla rosa che aveva a disposizione. Lui ha spiegato per l'ennesima volta che a suo parere il 4-3-3 è lo schema che consente nel modo migliore di coprire ogni porzione del campo. E che fino a prova contraria assumere una propria identità tattica, una propria fisionomia, è semmai un punto di forza delle grandi squadre.
In realtà la mancanza di duttilità costituisce un punto debole, ma anche qui c'è da domandarsi: chi ha scelto Zeman come nuovo allenatore della Roma dopo Luis Enrique, non conosceva questa sua caratteristica? Perché, sapendo che Zeman non cambia mai da decenni il suo credo calcistico, non gli è stata messa a disposizione una rosa di giocatori adatta al suo sistema di gioco? O peggio ancora: come mai qualcuno ha addirittura preteso che a 65 anni Zeman cambiasse?
Più andiamo avanti nella discussione più ci rendiamo conto che stiamo parlando di una dirigenza che ha riportato Zeman a Roma per un plebiscito popolare. Non perché intendessero veramente affidargli un progetto serio. Perché se così fosse stato, gli avrebbero dato carta bianca assecondandolo in tutto e per tutto. Invece col passare del tempo Zeman è rimasto solo. Il punto nodale è il fatto che se si crede in un allenatore, lo si deve supportare e preservare. Non sono i calciatori a comandare. A decidere se un sistema di allenamento sia o meno corretto, se occorra sistemarsi in campo in un modo piuttosto che in un altro. A queste cose deve pensarci l'allenatore. E se l'allenatore un giorno ritiene che un giocatore (naturalmente non per motivi personali ma tecnici) debba andare in panchina, deve essere libero di prendere le sue decisioni. Non che si scateni un putiferio e (cosa ancor più grave) non intervenga la società a mettere in chiaro che è l'allenatore a dover decidere, con i giocatori che dovrebbero accettare le scelte. Altrimenti la porta è quella. Nella Roma no. Niente di tutto questo. Zeman sicuramente ha delle responsabilità in questa stagione sin qui fallimentare della squadra. E non potrebbe essere altrimenti, essendo colui che l'ha guidata per 5 mesi.
Ma addossare a lui tutte le colpe di questo andamento negativo, appare quantomeno eccessivo. Dopo circa due anni dall'avvento della nuova società americana, partita con grandi proclami, è perfettamente legittimo iniziare ad interrogarsi circa l'operato dello staff dirigenziale. Troppo facile trovare in Zeman l'unico "capro espiatorio" di questa situazione. Si possono trovare delle colpe in lui, specialmente per quanto concerne determinate scelte. Questo tuttavia non significa che tutti i mali della Roma possano essere fatti coincidere con la sua figura. Sta di fatto che intanto ha pagato Zeman per tutti. "Sollevato dall'incarico". Queste le parole del comunicato di Sabato pomeriggio, da parte dell'As Roma. Il messaggio è chiaro: "la squadra è fortissima" (parole di Sabatini); lo stesso Sabatini che soltanto qualche giorno prima dell'esonero di Zeman gli aveva accordato nuova fiducia, dopo averlo pubblicamente deligittimato.
Una tarantella estenuante che fotografa alla perfezione una politica dirigenziale assai confusa e poco chiara. Perché, e lo ripetiamo, la fiducia in un allenatore o c'è o non c'è. Non può mutare dall'oggi al domani, come pare sia avvenuto nei confronti di Zeman.
La squadra è ufficialmente stata affidata ad Aurelio Andreazzoli, tattico di Spalletti.
Zeman, il quale non si è dimesso ma è stato esonerato, teoricamente sarà ancora stipendiato dalla Roma per un anno e mezzo.Resta grande amarezza, per lui e per la Roma. Per un matrimonio che potenzialmente avrebbe potuto significare una grandissima rivalsa per entrambi. Ma evidentemente si è trattato di un matrimonio costruito su presupposti sbagliati. Dunque Zeman ha pagato per tutti. Come spesso accade nella vita, quando si può finire col pagare per colpe non solo proprie.
Parola sante...Vediamo il prossimo che arriva. Sono sicuro però che purtroppo nessun grande allenatore potrà mai arrivare...Ora si parla di panucci
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