In particolare si faceva riferimento “all'esigenza di riformare
ulteriormente il sistema di
contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello
d'impresa in modo da ritagliare i
salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende
e rendendo questi accordi più rilevanti
rispetto ad altri livelli di negoziazione. Dovrebbe essere adottata
un’accurata revisione delle norme che regolano
l'assunzione e il licenziamento dei dipendenti, stabilendo un sistema di
assicurazione dalla disoccupazione e un insieme di politiche attive per il
mercato del lavoro che siano in grado di facilitare la riallocazione delle
risorse verso le aziende e verso i settori più competitivi”.
A metà agosto, in risposta a questa sollecitazione della Banca Centrale
Europea, il Governo Italiano approvò una nuova legge che ha drasticamente
incentivato il ruolo della contrattazione aziendale.
Più precisamente la nuova norma (l’articolo 8 del Decreto Legge n. 138 del
2011, convertito in Legge n. 148 del 2011) prevede che ogni contratto aziendale
o territoriale firmato da una o più organizzazioni sindacali comparativamente
più rappresentative sul piano nazionale o territoriale, nell’ambito
dell’ampissimo novero di fattispecie previste dalla norma e nel rispetto di
presupposti funzionali altrettanto definiti, può derogare non solo ad ogni
contratto collettivo nazionale, ma anche all’intera legislazione nazionale del
lavoro, inclusa la disciplina dei licenziamenti ed escluse solo le norme
costituzionali e quelle contenute nelle convenzioni internazionali e nelle
direttive europee.
Grazie a questa norma, ogni imprenditore “innovatore”, se ha di fronte
rappresentanti sindacali lungimiranti, può inserire nella propria azienda un diritto del
lavoro snello, basato su di una coniugazione della massima flessibilità delle strutture
produttive, con la massima sicurezza del lavoratore.
La lettera con cui nell’ottobre del 2011, il Governo Berlusconi, rispose
alle richieste che ci pervenivano dalla Commissione Europea in tema di lavoro e
licenziamenti, avrebbe potuto costituire un punto di partenza costruttivo per
arrivare all’obiettivo di una nuova rete di assicurazione e protezione sociale,
ma ha invece generato una risposta ansiogena e fuori controllo da parte dei
cittadini e delle principali sigle sindacali.
La stessa sorte è toccata alla proposta di riforma del lavoro del Governo
Monti, nel marzo del 2012 e al conseguente Disegno di Legge del 6 Aprile 2012 .
Questo perché i mass media, nei giorni successivi
alla lettera, alla proposta di riforma e al Disegno di Legge, hanno lanciato
alla pubblica opinione un motto, per molti incomprensibile e fuori da ogni
logica, come “licenziare per assumere”.
Sarebbe stato invece necessario e responsabile,
con l’accordo delle parti sociali e di tutti i partiti politici che
appoggiavano il Governo, presentare un progetto organico e strutturale di
riforma che si configurasse come una reale proposta di modernizzazione rivolta
al Paese, che avrebbe potuto contribuire al rilancio dell’economia e
all’attrazione d’investimenti dall’estero, attraverso quella flessibilità in
entrata ed in uscita che ci chiede l’Europa.
Un nuovo modo di intendere il
lavoro come elemento dinamico teso al miglioramento dell’efficacia e
dell’efficienza dei sistemi produttivi, il tutto in una rinnovata idea di
competitività, questo perché la piaga italiana non è l’uso
delle tipologie atipiche ma il sommerso.
Convincere, l’opinione pubblica, della necessità di contrastare questa
nuova idea di lavoro, in omaggio alla difesa dell’art.1 del nostro Dettato
Costituzionale, è un’impresa complicata. Appare addirittura impossibile quando
le deroghe richieste dall’Unione Europea (che ci chiede da anni di
“dinamizzare” il nostro mercato del lavoro) e dal Governo, mirano a combattere
fenomeni di abuso di contratti senza alcuna tutela, in uno Stato come quello
Italiano, cronicamente piagato dall’assenza di lavoro, dove l’alternativa
occupazionale è il lavoro nero sottopagato, senza alcun diritto e senza
sindacato, nel tessuto malato dell’economia sommersa.
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