In questi giorni stiamo assistendo all’epilogo finale della favola del Neoliberismo. Anche i più strenui difensori dell’ortodossia della scuola di Chicago hanno cominciato ad avere dei ripensamenti (Vedi Giavazzi ) mentre altri continuano ad arrampicarsi sugli specchi, come ad esempio i fermatori del declino di Giannino (qui sbertucciati da Claudio Borghi sul dividendo dell’euro).Non essendo un economista tuttavia mi interessa mettere in risalto in questa sede, non l’aspetto macroeconomico e gli errori palesi che hanno portato ad una crisi tremenda delle economie occidentali, bensì l’aspetto politico e le conseguenze sui nostri sistemi democratici.
In primo luogo è doveroso ricordare che, negli anni precedenti al trionfo di Milton Friedman e della sua scuola di Chicago, le economie occidentali avevano conosciuto uno straordinario ciclo espansivo durato dal dopo guerra al 1973. In quegli anni le ricette adottate dalle principali nazioni occidentali furono ispirate da Keynes, senza dubbio il più grande economista del XX secolo.
Guardate per esempio il grafico seguente (tratto dal blog di Alberto Bagnai) per rendervi conto dell’impatto di Keynes sull’economia Americana negli ultimi 50 anni; si vede bene che prima dell’adozione delle politiche Keynesiane i cicli espansivi-recessivi che si susseguivano negli anni oscillavano in una forchetta del 30%, dopo si dimezzarono. In altre parole durante le crisi le conseguenze di calo di reddito erano meno drammatiche e più facilmente gestibili dallo stato.
In primo luogo è doveroso ricordare che, negli anni precedenti al trionfo di Milton Friedman e della sua scuola di Chicago, le economie occidentali avevano conosciuto uno straordinario ciclo espansivo durato dal dopo guerra al 1973. In quegli anni le ricette adottate dalle principali nazioni occidentali furono ispirate da Keynes, senza dubbio il più grande economista del XX secolo.
Guardate per esempio il grafico seguente (tratto dal blog di Alberto Bagnai) per rendervi conto dell’impatto di Keynes sull’economia Americana negli ultimi 50 anni; si vede bene che prima dell’adozione delle politiche Keynesiane i cicli espansivi-recessivi che si susseguivano negli anni oscillavano in una forchetta del 30%, dopo si dimezzarono. In altre parole durante le crisi le conseguenze di calo di reddito erano meno drammatiche e più facilmente gestibili dallo stato.
Introduciamo adesso alcuni concetti elementari di politica economica per capire la base dei ragionamenti di Keynes. Partiamo dalla definizione di prodotto interno lordo: Y=C+G+I+(X-M)
dove Y è il reddito nazionale, C consumi, I la spesa per investimenti, X le esportazioni, M le importazioni.Quando noi andiamo a votare fondamentalmente deleghiamo ai nostri rappresentanti la possibilità di manovrare questa equazione elementare. Il fine di queste manovre è cercare di mantenere un equilibrio fra due variabili antitetiche, Inflazione e Disoccupazione.Vediamo adesso cosa succede in pratica.
Caso 1: supponiamo di essere in recessione e quindi di voler aumentare Y per combattere la crisi, cosa può fare un governo?
In primo luogo può stimolare C, ossia i consumi riducendo ad esempio l’imposizione fiscale oppure può aumentare la spesa pubblica G.
Se invece si vogliono aumentare gli investimenti I possiamo abbassare i tassi di interesse, cosicché le imprese trovando credito a basso costo sono stimolate ad investire.
Infine abbassando il tasso di cambio della propria valuta un governo può migliorare la bilancia dei pagamenti X-Mrendendo le proprie merci più competitive verso l’estero.Aumentando Y diminuisce la disoccupazione ma aumenta l’inflazione per la semplice legge della domanda e dell’offerta.
Adesso il governo per frenare la crescita dell’inflazione manovra nuovamente l’equazione, ma questa volta in senso opposto(Caso 2). Quindi aumenta l’imposizione fiscale, alza i tassi di interesse per frenare gli investimenti, taglia la spesa pubblica, aumenta il tasso di cambio.
In primo luogo può stimolare C, ossia i consumi riducendo ad esempio l’imposizione fiscale oppure può aumentare la spesa pubblica G.
Se invece si vogliono aumentare gli investimenti I possiamo abbassare i tassi di interesse, cosicché le imprese trovando credito a basso costo sono stimolate ad investire.
Infine abbassando il tasso di cambio della propria valuta un governo può migliorare la bilancia dei pagamenti X-Mrendendo le proprie merci più competitive verso l’estero.Aumentando Y diminuisce la disoccupazione ma aumenta l’inflazione per la semplice legge della domanda e dell’offerta.
Adesso il governo per frenare la crescita dell’inflazione manovra nuovamente l’equazione, ma questa volta in senso opposto(Caso 2). Quindi aumenta l’imposizione fiscale, alza i tassi di interesse per frenare gli investimenti, taglia la spesa pubblica, aumenta il tasso di cambio.
Dopo questa breve divagazione tecnica arriviamo ad oggi ed alla crisi che sta devastando l’Eurozona. In questo momento l’Italia si trova in una situazione di bassa inflazione (2,6% 1,5 al netto dei beni energetici ) ed altissima disoccupazione(11%), soprattutto giovanile(35%), cioè siamo in deflazione.Siamo quindi nella prima condizione e per di più alla vigilia di una nuova tornata elettorale.
Diligentemente ci recheremo alle urne e chiederemo un cambiamento di governo, un governo di centrosinistra che sappia far ricrescere i nostri redditi attraverso un sana politica di rilancio della economia.Spingiamoci un po avanti nel tempo e supponiamo che quanto augurato avvenga, Bersani vince le elezioni e si ritrova a manovrare la nostra equazione.
Supponiamo che il nuovo governo vuole aumentare i consumi C attraverso una riduzione fiscale per le fasce più deboli. Come lo finanziamo visto che la crisi ha provocato una diminuzione delle entrate statali oltre che un esplosione del monte interessi? Normalmente si ricorrebbe al cosidetto deficit spending, cioè si spenderebbe a debito;
Primo ostacolo, dal 1° gennaio 2013 entrerà in vigore il Fiscal Compact, approvato il 2 marzo 2012 da 25 paesi su 27 dell’Eurozona (Gran Bretagna e Repubblica Ceca non lo hanno ratificato). Esso prevede per l'Italia un vincolo rigidissimo, l’obbligo del pareggio di Bilancio inserito addirittura in costituzione.Ok abbiamo la seconda variabile su cui giocare la spesa pubblica G. Bersani una volta eletto aumenterà la spesa nella ricerca e nell‘istruzione e così rilancerà l’economia e darà occupazione a migliaia di insegnanti e giovani ricercatori. Non fermeremo il declino, fermeremo la fuga dei Cervelli.
Come finanziamo l’aumento della spesa? Il fiscal compact ci obbliga non solo al pareggio di bilancio ma anche ad una riduzione di un ventesimo dello stock di debito per i prossimi 20 anni. In altre parole il nostro parlamento si è impegnato a tosare 50 miliardi di euro l’anno ai redditi dei cittadini Italiani. Quindi porte sbarrate anche da questo fronte.Vabbè possiamo sempre rilanciare gli investimenti I abbassando i tassi di interesse. Non proprio, avendo perso la sovranità monetaria i Tassi li decidono a Francoforte ed inoltre nonostante la BCE conceda crediti alle banche all’1% queste non riversano nell’economia reale questa liquidità.
Infine il bravo Bersani può provare a svalutare la nostra moneta per rilanciare l’export italiano. Anche qui sorge un piccolo problema dal 1979 (anno in cui entrammo nello SME) ed adesso con l’euro abbiamo relegato a Francoforte la politica monetaria. Inoltre nonostante una svalutazione dell’euro del 15% nell’ultimo anno non siamo riusciti a migliorare i nostri export in quanto gli squilibri sono più che altro regionali, quindi interni all’Eurozona.
Avete capito quali sono i veri costi della politica? Non le ostriche di Fiorito, (seppur deplorevoli) o la casta corruzione. I costi veri della politica sono le scelte sbagliate fatte dai nostri rappresentanti. Fiorito nel peggiore dei casi ha rubato un milione di euro, quest’anno solo il salvataggio della Monte dei Paschi da parte del governo Monti ci costerà 3,9 miliardi di euro.
Abbiamo ratificato il MES, il cosiddetto fondo salva stati, il quale ci costerà 126 miliardi di euro (secondo voi a che serve l’IMU). Il MES in teoria dovrebbe servire a salvare la Spagna, in realtà salveremo le sue banche indebitate con le banche Tedesche. Il prossimo grafico rende più chiaro il concetto e per chi volesse approfondire la Prof. Undiemi dell’Università di Palermo da anni si sta battendo su questi temi.
Diligentemente ci recheremo alle urne e chiederemo un cambiamento di governo, un governo di centrosinistra che sappia far ricrescere i nostri redditi attraverso un sana politica di rilancio della economia.Spingiamoci un po avanti nel tempo e supponiamo che quanto augurato avvenga, Bersani vince le elezioni e si ritrova a manovrare la nostra equazione.
Supponiamo che il nuovo governo vuole aumentare i consumi C attraverso una riduzione fiscale per le fasce più deboli. Come lo finanziamo visto che la crisi ha provocato una diminuzione delle entrate statali oltre che un esplosione del monte interessi? Normalmente si ricorrebbe al cosidetto deficit spending, cioè si spenderebbe a debito;
Primo ostacolo, dal 1° gennaio 2013 entrerà in vigore il Fiscal Compact, approvato il 2 marzo 2012 da 25 paesi su 27 dell’Eurozona (Gran Bretagna e Repubblica Ceca non lo hanno ratificato). Esso prevede per l'Italia un vincolo rigidissimo, l’obbligo del pareggio di Bilancio inserito addirittura in costituzione.Ok abbiamo la seconda variabile su cui giocare la spesa pubblica G. Bersani una volta eletto aumenterà la spesa nella ricerca e nell‘istruzione e così rilancerà l’economia e darà occupazione a migliaia di insegnanti e giovani ricercatori. Non fermeremo il declino, fermeremo la fuga dei Cervelli.
Come finanziamo l’aumento della spesa? Il fiscal compact ci obbliga non solo al pareggio di bilancio ma anche ad una riduzione di un ventesimo dello stock di debito per i prossimi 20 anni. In altre parole il nostro parlamento si è impegnato a tosare 50 miliardi di euro l’anno ai redditi dei cittadini Italiani. Quindi porte sbarrate anche da questo fronte.Vabbè possiamo sempre rilanciare gli investimenti I abbassando i tassi di interesse. Non proprio, avendo perso la sovranità monetaria i Tassi li decidono a Francoforte ed inoltre nonostante la BCE conceda crediti alle banche all’1% queste non riversano nell’economia reale questa liquidità.
Infine il bravo Bersani può provare a svalutare la nostra moneta per rilanciare l’export italiano. Anche qui sorge un piccolo problema dal 1979 (anno in cui entrammo nello SME) ed adesso con l’euro abbiamo relegato a Francoforte la politica monetaria. Inoltre nonostante una svalutazione dell’euro del 15% nell’ultimo anno non siamo riusciti a migliorare i nostri export in quanto gli squilibri sono più che altro regionali, quindi interni all’Eurozona.
Avete capito quali sono i veri costi della politica? Non le ostriche di Fiorito, (seppur deplorevoli) o la casta corruzione. I costi veri della politica sono le scelte sbagliate fatte dai nostri rappresentanti. Fiorito nel peggiore dei casi ha rubato un milione di euro, quest’anno solo il salvataggio della Monte dei Paschi da parte del governo Monti ci costerà 3,9 miliardi di euro.
Abbiamo ratificato il MES, il cosiddetto fondo salva stati, il quale ci costerà 126 miliardi di euro (secondo voi a che serve l’IMU). Il MES in teoria dovrebbe servire a salvare la Spagna, in realtà salveremo le sue banche indebitate con le banche Tedesche. Il prossimo grafico rende più chiaro il concetto e per chi volesse approfondire la Prof. Undiemi dell’Università di Palermo da anni si sta battendo su questi temi.
Grafico tratto da http://www.byoblu.com/post/2012/10/18/Un-fiore-sulla-mia-tomba.aspx |
Ci rendiamo conto che mentre i media distoglievano l’attenzione dell’opinione pubblica con la storia della casta, in questi anni abbiamo ceduto la nostra sovranità.
Il liberismo non è di sinistra come dice Giavazzi ed Alesina è semplicemente “na sola” e la storia ahimè lo ha dimostrato.
Il liberismo non è di sinistra come dice Giavazzi ed Alesina è semplicemente “na sola” e la storia ahimè lo ha dimostrato.
Ing. Andolina Salvatore
P.S. Ecco i numeri dopo un anno di austerità liberista.
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