Oggi in Italia annoveriamo
circa un milione e seicentomila aziende agricole (censimento dell'agricoltura,
luglio 2011), tantissime per l'orografia che abbiamo. Ci sono circa 500 vini
denominati ed altrettanti prodotti dop e igp. L'italian sounding è il più
imitato al mondo (con un giro d'affari di circa 60 miliardi di euro, stima del
rapporto antifrode alimentare 2012).
Siamo la nazione che più di
tutte punta sull'agroalimentare. I numeri sono da record, eppure...siamo
importatori netti di cibo!
Allo stesso modo, siamo
fondatori di quella che ora si chiama Ue e del suo strumento di gestione e
regolazione dell'agricoltura, la Pac, ma incassiamo
5 miliardi l'anno e ne
paghiamo 7! Come dire, qualcosa non ha funzionato.
L'Italia è mancata
soprattutto a livello politico. Non si è riusciti a creare una strategia
nazionale dell'agroalimentare, troppo presi da egoismi locali. Così, chi è
riuscito a costituire un consorzio ottiene grandi risultati (il Grana Padano,
il Chianti Classico), chi invece non ha avuto l'umiltà di farlo rischia
seriamente di scomparire (il tabacco, il bieticolo-saccarifero; dopo quella del
grano, la crisi dello zucchero è alle porte). Ci si è troppo barricato dietro
(dentro?) le denominazioni dop e igp solo perché si credeva di costruirci una
fortuna. Ma di alcune non si sente la necessità.
Il formaggio di fossa è
particolarmente interessante ma è poco diffuso anche in Italia, all'estero non
lo conosce nessuno. Ma ha ottenuto il disciplinare di produzione e quindi può
sostenere i propri prezzi. Una strategia miope che non ha portato ad una reale
diffusione. In sostanza, anziché esportare un sistema paese, diventiamo forti
su alcuni prodotti. Il che, se va bene per la Repubblica Ceca che ha ben altre
tradizioni e caratteristiche, suona offensivo per la nostra monumentale
tradizione. Un'occasione sprecata che
ora grida vendetta.
In virtù della remunerazione
(questo si è cercato, non la conquista di mercati) abbiamo perduto la
tradizionale abilità manifatturiera, le aziende sono in mano a "giovani
anzianotti" che non riescono ad attirare figli e nipoti sulle plance di
comando, tanto è una vita dura. Le nostre aziende sono le più piccole d'Europa
in quanto a sau (superficie agricola utilizzata), con un'ampiezza media di 8 ettari (in Romania e
Repubblica Ceca arrivano a 100). Sta mancando il ricambio generazionale e la
digitalizzazione, i costi sono enormi e la "vocazione" è in crisi.
La crisi mondiale ed il
governo di bocconiani ci hanno messo del loro.
Un'azienda che pretenda di
essere competitiva deve disporre di serre per produrre tutto l'anno, e negli
ultimi dodici mesi il gasolio per alimentarle è aumentato del 30%, grazie alle
accise di stato. Insomma, i conti non tornano.
Il fronte nord europeo,
quello più virtuoso e competitivo, quello che paga la maggior parte degli aiuti
PAC, si è compattato lo scorso febbraio, quando in sede comunitaria è stato
approvato l'accordo agricolo con il Marocco.
L’accordo commerciale ha, in
generale, l’obiettivo di aumentare il commercio fra l’Unione e il Marocco e
sostenere la transizione democratica che è iniziata in seguito alla Primavera
araba. La maggioranza dei deputati afferma, infatti, che l’accordo dovrebbe
aiutare a risolvere i problemi sociali, economici e di sicurezza del Paese.
Tuttavia, una minoranza significativa si è espressa contro l’accordo, compreso
il relatore del testo, il francese José Bové (Verdi) che ha ritirato il suo
nome dalla relazione, per “gli effetti negativi sui piccoli agricoltori europei,
per le condizioni precarie di lavoro e ambientali in Marocco e per l’inclusione
del territorio del Sahara Occidentale, punto che violerebbe il diritto
internazionale”. In sostanza, i nord europei si stanno politicamente sganciando
dal meccanismo di rinnovo della PAC, che così come è scadrà il 31 dicembre
dell'anno prossimo. Vogliono spendere meno ed avere prodotti freschi tutto
l'anno. L’accordo di libero scambio metterà a rischio migliaia di imprese e
posti di lavoro. Un danno enorme per tantissimi agricoltori che sono già stati
colpiti duramente dalla grave crisi economica, e non ci sono garanzie sugli
effetti benefici che potrà portare ai coltivatori marocchini.
Andrea Martire
Andrea Martire
interessantissimo! grazie Andrea!
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