domenica 27 maggio 2012

L'agricoltura ed il paradosso della ricchezza di Andrea Martire


Oggi in Italia annoveriamo circa un milione e seicentomila aziende agricole (censimento dell'agricoltura, luglio 2011), tantissime per l'orografia che abbiamo. Ci sono circa 500 vini denominati ed altrettanti prodotti dop e igp. L'italian sounding è il più imitato al mondo (con un giro d'affari di circa 60 miliardi di euro, stima del rapporto antifrode alimentare 2012).
Siamo la nazione che più di tutte punta sull'agroalimentare. I numeri sono da record, eppure...siamo importatori netti di cibo!
Allo stesso modo, siamo fondatori di quella che ora si chiama Ue e del suo strumento di gestione e regolazione dell'agricoltura, la Pac, ma incassiamo
5 miliardi l'anno e ne paghiamo 7! Come dire, qualcosa non ha funzionato.
L'Italia è mancata soprattutto a livello politico. Non si è riusciti a creare una strategia nazionale dell'agroalimentare, troppo presi da egoismi locali. Così, chi è riuscito a costituire un consorzio ottiene grandi risultati (il Grana Padano, il Chianti Classico), chi invece non ha avuto l'umiltà di farlo rischia seriamente di scomparire (il tabacco, il bieticolo-saccarifero; dopo quella del grano, la crisi dello zucchero è alle porte). Ci si è troppo barricato dietro (dentro?) le denominazioni dop e igp solo perché si credeva di costruirci una fortuna. Ma di alcune non si sente la necessità.
Il formaggio di fossa è particolarmente interessante ma è poco diffuso anche in Italia, all'estero non lo conosce nessuno. Ma ha ottenuto il disciplinare di produzione e quindi può sostenere i propri prezzi. Una strategia miope che non ha portato ad una reale diffusione. In sostanza, anziché esportare un sistema paese, diventiamo forti su alcuni prodotti. Il che, se va bene per la Repubblica Ceca che ha ben altre tradizioni e caratteristiche, suona offensivo per la nostra monumentale tradizione.  Un'occasione sprecata che ora grida vendetta.
In virtù della remunerazione (questo si è cercato, non la conquista di mercati) abbiamo perduto la tradizionale abilità manifatturiera, le aziende sono in mano a "giovani anzianotti" che non riescono ad attirare figli e nipoti sulle plance di comando, tanto è una vita dura. Le nostre aziende sono le più piccole d'Europa in quanto a sau (superficie agricola utilizzata), con un'ampiezza media di 8 ettari (in Romania e Repubblica Ceca arrivano a 100). Sta mancando il ricambio generazionale e la digitalizzazione, i costi sono enormi e la "vocazione" è in crisi.
La crisi mondiale ed il governo di bocconiani ci hanno messo del loro.
Un'azienda che pretenda di essere competitiva deve disporre di serre per produrre tutto l'anno, e negli ultimi dodici mesi il gasolio per alimentarle è aumentato del 30%, grazie alle accise di stato. Insomma, i conti non tornano.
Il fronte nord europeo, quello più virtuoso e competitivo, quello che paga la maggior parte degli aiuti PAC, si è compattato lo scorso febbraio, quando in sede comunitaria è stato approvato l'accordo agricolo con il Marocco.
L’accordo commerciale ha, in generale, l’obiettivo di aumentare il commercio fra l’Unione e il Marocco e sostenere la transizione democratica che è iniziata in seguito alla Primavera araba. La maggioranza dei deputati afferma, infatti, che l’accordo dovrebbe aiutare a risolvere i problemi sociali, economici e di sicurezza del Paese. Tuttavia, una minoranza significativa si è espressa contro l’accordo, compreso il relatore del testo, il francese José Bové (Verdi) che ha ritirato il suo nome dalla relazione, per “gli effetti negativi sui piccoli agricoltori europei, per le condizioni precarie di lavoro e ambientali in Marocco e per l’inclusione del territorio del Sahara Occidentale, punto che violerebbe il diritto internazionale”. In sostanza, i nord europei si stanno politicamente sganciando dal meccanismo di rinnovo della PAC, che così come è scadrà il 31 dicembre dell'anno prossimo. Vogliono spendere meno ed avere prodotti freschi tutto l'anno. L’accordo di libero scambio metterà a rischio migliaia di imprese e posti di lavoro. Un danno enorme per tantissimi agricoltori che sono già stati colpiti duramente dalla grave crisi economica, e non ci sono garanzie sugli effetti benefici che potrà portare ai coltivatori marocchini.


Andrea Martire

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