Molto
spesso quando si attribuisce ad uno strumento o ad una soluzione l’attributo
“all’italiana” si sottintende un qualcosa a mezza via e pasticciato. Questo in
onore della nostra proverbiale capacità di aggiungere confusione alla
confusione, alla ricerca di un compromesso con carattere d’urgenza.
Non si
sottrae a questo tipo di catalogazione nemmeno la tanto attesa riforma del
lavoro, che vede sul tappeto interventi sull’art.18 dello statuto dei
lavoratori. O meglio, il topolino partorito dalla montagna. E la montagna,
almeno speravamo così fosse, è il governo Monti. Evidentemente troppo legato
alla maggioranza parlamentare.
La
riforma del mercato del lavoro non introduce il contratto unico, non favorisce
la flessibilità in entrata, non rende più onerosi alcuni contratti atipici,
tra cui il lavoro a progetto, le “false partite Iva”, le
associazioni in partecipazione e altre forme di collaborazioni autonome fittizie
che, impropriamente utilizzate, nascondevano in realtà dei veri e propri
contratti di lavoro subordinato, non prevede forme di
riqualificazione delle professionalità per coloro i quali escono dal mercato. Di
conseguenza non si può parlare di riforma ma di revisione leggera e tantomeno di
adozione di un modello (danese, tedesco etc.).
Ad
appesantire il quadro sono le misure che il governo adotterà per reperire le
risorse alla copertura degli interventi annunciati. Verranno colpite le auto
aziendali, ovvero i veicoli concessi dalle aziende ai propri dipendenti. Le
deduzioni sulle spese relative a mezzi di trasporto non utilizzati
esclusivamente come beni strumentali da imprese e professionisti scendano dal 40
al 27,5%, mentre la deducibilità delle spese relative ai veicoli concessi dalle
imprese ai propri dipendenti scenderanno dal 90 al 70%.
Il
mercato delle flotte è l’unico che non ha visto un drastico calo delle
immatricolazioni, in assoluta controtendenza rispetto al totale mercato auto.
Ciò dovuto al fatto che l’auto aziendale è uno degli ultimi beni strumentali e
non che un’azienda tende ad eliminare: sono i veicoli della forza commerciale,
senza cui quindi non è pensabile “vendere” prodotti e servizi; hanno una
gestione da parte degli operatori specializzati in flotte (noleggio a lungo
termine soprattutto) che ottimizza i costi attraverso un controllo costante, con
garanzia d’efficienza complessiva. L’auto aziendale ha quindi una ricaduta
positiva derivante da un minor impatto sull’ambiente: i veicoli vengono
utilizzati mediamente per tre anni ed il sistema dei controlli fa si che
inquinino meno. Indirettamente le auto aziendali incidono sul sistema sanitario
nazionale!
Ancor più
importante l’effetto fiscale: le aziende che gestiscono parchi auto aziendali
(per maggiori informazioni è possibile visitare il sito www.aniasa.it) favoriscono
l’emersione di un comparto, quello delle officine, carrozzerie e gommisti, che
tende all’evasione ogni qual volta vi sia il contatto con il privato o piccole /
medie aziende.
Il
governo colpisce quindi un settore che è per sua natura promotore di esternalità
positive. Rinuncia quindi ad adeguare le normative del settore auto aziendali al
quadro europeo di riferimento ma soprattutto accetta le conseguenze di misure
restrittive sia in termini di occupazione che contributi al sistema fiscale.
Evidente l’assenza di programmazione economica: nel nostro paese l’intervento di
urgenza non prevede studi d’impatto collaterale che indichino il saldo tra
beneficio atteso e costi della collettività, anche indiretti e nascosti. E la
dimostrazione è sotto i nostri occhi.
Occorre avere coraggio ed
incidere sulla spesa pubblica razionalmente, tralasciando la logica dei tagli
lineari adottando principi socio-economici e non più meramente politci. E'
l'unica azione possibile se si vuole ridare slancio al paese ormai alle prese
con una recessione pesante (basti guardare l'andamento della produzione
industriale, oltre il -20% dal 2008 ad oggi).
Andrea Carbutti
Purtroppo quanto scrive Andrea è assolutamente vero, e soprattutto la rabbia accompagnata al rammarico è quella di vedere un Paese in balia di scelte discutibili, che mirano ad ampliare la forbice tra soglia di ricchezze e soglia di povertà accompagnata ad un disagio sociale sempre più marcato. Ancora una volta non siamo in grado di individuare nella crisi quegli spunti di miglioramento strutturali che inevitabilmente vi sono, ma si va solo ad accentuare la mancata applicazione del concetto di meritocrazia e buon senso. Prendo spunto sulla tanto pubblicizzata riforma (?) del lavoro e la prima cosa che mi viene in mente è la piu bella costituzione mai applicata (la nostra!!!)..."l'italia è una repubblica fondata sul lavoro..."..mi chiedo cosa fa lo stato per dare un sostegno al suo sistema economico affinchè vi sia flessibilità (giusta nel principio) e possibilità d'inserimento dei giovani e soprattutto il reinserimento di quelle persone che per crisi etc sono usciti dal mercato? Il nulla...Io credo però, e la mia idea si rafforza sempre più, che tutto ciò ce lo meritiamo perchè subire passivamente significa avere delle colpe, il Paese siamo noi non loro e dovremmo scendere in piazza a dire la nostra con civiltà ma anche con fermezza e decisione. Proprio ieri ho letto una lettera inviata a "Il Quotidiano della Calabria" di una mamma che con fermezza commentava le notizie riportate dagli organi di stampa sul suicidio della figlia di 32 anni....un suicidio dovuto alla depressione...così recitavano le cronache...lei è andata in fondo è ha detto si era depressa ma il motivo è solo quello di vedere davanti a se persone che andavano avanti per conoscenze mentre lei laureata in ingegneria con 110 e lode era costretta a fare un lavoro che non era ciò che voleva oltre ad essere sotto retribuita (immagino call center ve ne sono tanti)...ha detto una cosa che mi ha lasciato veramente il segno....la sua colpa era credere nei valori dell'impegno, del merito etc....la frustazione l'ha uccisa ma la colpa è di tutti noi siamo noi che l'abbiamo uccisa...noi come società.
RispondiEliminaSul comparto Auto che dire....stanno solo cercando di trovare le ultime vacche da mungere, peccato che vadano ad ignorare l'impatto diretto ed indiretto (comprensivo di indotto) che tale settore ha sul PIL nazionale.
L'ottica del lungo periodo non fa parte della nostra cultura e storia politica e nazionale...ahimè
Il settore auto è in crisi da un decennio e sta solo peggiorando. Quello nazionale, poi, va di male in peggio e gli ultimi sviluppi di Fabbrica Italia (una tragicommedia degna del peggior Berlusconi) sta a dimostrarlo. Colpire anche il mercato delle flotte aziendali è miope ed in controtendenza a quanto accade negli altri Paesi europei (se da noi circa il 30% delle immatricolazioni è relativo al car leasing, in Gran Bretagna siamo almeno al 50%, secondo alcune fonti), segno che come dite voi c'è bisogno di una revisione razionale e non meramente schiava di principi politici nell'affrontare le questioni di spesa.
RispondiElimina