Cosa si intende per flessibilità
del mercato del lavoro? Sicuramente è un concetto evocato continuamente ma
spesso in modo indefinito, spesso erroneamente associato alla sola facilità di
licenziamento e impiego.
Nella definizione dell’organizzazione
per la cooperazione e lo sviluppo economico sono incluse cinque componenti:
1.
flessibilità esterna, in altre parole la
capacità di aumentare/ridurre il numero di lavoratori all’interno di
un’impresa. È tanto più elevata quanto minori sono i costi di
un’assunzione/licenziamento e quanto minori sono i tempi necessari ad
effettuare l’aggiustamento nel personale impiegato;
2.
flessibilità numerica interna, misura
l’abilità dell’impresa di variare l’input lavoro (le ore di lavoro per unità di
tempo) senza licenziare/assumere lavoratori;
3.
flessibilità funzionale, misura la
capacità dell’impresa di riorganizzare i propri lavoratori su diverse mansioni,
differenti luoghi di lavoro o differenti tipi di lavoro. È tanto più elevata
quanto risulta facile effettuare turnover all’interno delle imprese;
4.
flessibilità salariale che consiste
nella capacità dei datori di lavoro di alterare il salario pagato ai propri
lavoratori quando le condizioni del mercato lo richiedano. È generalmente
limitato la dove la contrattazione salariale avviene fra lavoratori fortemente
sindacalizzati a livello centralizzato;
5.
flessibilità di esternalizzazione,
consiste nella capacità delle imprese di utilizzare lavoro fornito da
lavoratori esterni all’impresa senza la necessità di instaurare rapporti di
tipo lavorativo.
Tutte e cinque le componenti sopra
indicate sono utili a ottenere un mercato del lavoro flessibile e allo stesso
tempo hanno caratteristiche di complementarietà e soprattutto di
sostituibilità.
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