sabato 10 marzo 2012

Un concetto molte volte male interpretato


Cosa si intende per flessibilità del mercato del lavoro? Sicuramente è un concetto evocato continuamente ma spesso in modo indefinito, spesso erroneamente associato alla sola facilità di licenziamento e impiego. 
Nella definizione dell’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico sono incluse cinque componenti:
1.                   flessibilità esterna, in altre parole la capacità di aumentare/ridurre il numero di lavoratori all’interno di un’impresa. È tanto più elevata quanto minori sono i costi di un’assunzione/licenziamento e quanto minori sono i tempi necessari ad effettuare l’aggiustamento nel personale impiegato;
2.                  flessibilità numerica interna, misura l’abilità dell’impresa di variare l’input lavoro (le ore di lavoro per unità di tempo) senza licenziare/assumere lavoratori;
3.                  flessibilità funzionale, misura la capacità dell’impresa di riorganizzare i propri lavoratori su diverse mansioni, differenti luoghi di lavoro o differenti tipi di lavoro. È tanto più elevata quanto risulta facile effettuare turnover all’interno delle imprese;
4.                 flessibilità salariale che consiste nella capacità dei datori di lavoro di alterare il salario pagato ai propri lavoratori quando le condizioni del mercato lo richiedano. È generalmente limitato la dove la contrattazione salariale avviene fra lavoratori fortemente sindacalizzati a livello centralizzato;
5.                  flessibilità di esternalizzazione, consiste nella capacità delle imprese di utilizzare lavoro fornito da lavoratori esterni all’impresa senza la necessità di instaurare rapporti di tipo lavorativo.
Tutte e cinque le componenti sopra indicate sono utili a ottenere un mercato del lavoro flessibile e allo stesso tempo hanno caratteristiche di complementarietà e soprattutto di sostituibilità.


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