Da qualche anno ha preso piede anche in Italia l’employer branding, insieme di strategie
di marketing messe in atto con lo scopo di far percepire la propria impresa
come “luogo di lavoro ideale”. Tra i diversi strumenti di comunicazione a
disposizione delle aziende, però, non sempre è stato adeguatamente sfruttato
Internet: scarso il ricorso a corporate blog , rara la presenza nei social
media in ottica HR, molto sottovalutata la dimensione reputazionale del proprio
brand in rete.
Eppure i numeri parlano chiaro, così come l’esperienza
quotidiana: se ci si affida alle recensioni di perfetti sconosciuti per
scegliere un ristorante o un villaggio vacanze, quanto può essere importante
monitorare quello che dicono ex dipendenti, lavoratori o candidati a proposito
della nostra società?
Secondo una recentissima ricerca di Ca Technologies sembra
che le aziende del nostro Paese rischino di passare seri guai organizzativi se
non sapranno gestire dipendenti (attuali o potenziali) sempre più 2.0.
Referenze, reti professionali, passaparola - virtuali prima ancora che reali -
non possono che influenzare le preferenze di ciascun individuo, i suoi gusti e
infine le sue decisioni, comprese quelle sui posti in cui
andare a lavorare. Per le Direzioni Risorse Umane il pericolo non riguarda solo
i cosiddetti millennials, gli under
30 nativi digitali abituati a smartphone e social network, ma anche la forza
lavoro nel suo complesso, sempre più attiva on line. Non includere Internet nel
proprio employer branding mix è
pertanto un’assenza colpevole nei confronti tanto della Generazione Y (che sul
web ci vive) quanto dei più senior (che riconoscono Internet e i propri
contatti social come fonti più affidabili rispetto ai media tradizionali).
Silvia Zanella
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