lunedì 27 maggio 2013

La guerra delle sementi di Andrea Martire


Abbiamo assistito in questi giorni a peana liturgici assecondati dai mezzi di comunicazione. Le doglianze si sono trasformate in false donazioni di Costantino, l’isteria ha preso il sopravvento attizzata dal clima di scontento e crisi sociale ancor prima che economica. Ma l’allarme non è giustificato, i nostri orti non saranno fuorilegge ed i nostri nonni, suoceri, zii potranno continuare a tenere da parte i semi per l’anno prossimo.

La Commissione europea sta esaminando un corpus normativo, denominato "Plant Reproductive Material Law". La proposta, qualora trasformata in jus cogens, avrebbe risultati forse discutibili ma lontani dalle tragiche aspettative dei più. L’obiettivo è quello di regolare il commercio delle sementi, almeno delle 150 specie ritenute più importanti in Europa. Significa creare un “albo”, gestire i depositi, vigilare sul rispetto della normativa. Ancor più, ed ancor prima, significa garantire alti livelli di qualità alle sementi circolanti nel vecchio continente, quindi innalzare gli standard di sicurezza alimentare. Chiariamo subito che detta normativa non si applica agli orti urbani, agli orti per auto-produzione, alle imprese agricole con meno di dieci dipendenti ed un fatturato non elevato (ancora non quantificato in sede di negoziazione europea). Quindi, nonni tranquilli e pomodori di casa salvi.

Ma la proposta non obbliga a certificare ogni seme neanche per la vendita. Semplicemente, sarà poi il mercato a decidere se accettare prodotti provenienti da sementi certificate o meno. L’obbligo varrà, a scopo cautelativo, solo per le già citate specie ritenute di fondamentale importanza. Alla lunga il meccanismo qualche falla potrebbe presentarla. I certificati, i brevetti, potrebbero dare luogo ad un vero mercato dei titoli verdi, con un finale probabilmente già visto e molto simile a quello dei farmaci. I certificati potranno (potrebbero?) comprarseli le multinazionali per poi farci i soldi a palate e, soprattutto, controllare il regime alimentare di milioni di persone, un po’ quello che avviene in Corea del Nord. Un attentato alla democrazia. Il timore si sta affacciando anche se, al momento, le condizioni perché ciò accada sono molto lontane.

Non è scontato neanche che si verifichi l’invasione degli ogm, così come è stato detto. Gli ogm in Italia, ricordiamolo, non sono ammessi e la proposta al vaglio degli euroburocrati sembra escluderli. Ma nessuno dice che è probabile che li stiamo mangiando comunque, dato che sono presenti in gran parte dei mangimi utilizzati dalla Pianura Padana in su.

Gli unici ad apparire danneggiati da questa proposta, dunque, in primo luogo sembrerebbero i produttori di agricoltura biologica, non nelle intenzioni ma nei fatti perché la certificazione delle sementi utilizzate, data la maggiore libertà sul prezzo e la conseguente più alta redditività, sembrerebbe spingere verso una pericolosa omogeneizzazione ortofrutticola a discapito della biodiversità.  In questo senso la proposta ormai va contro a quanto la Rete Semi Rurali va chiedendo da tre anni, cioè la legalizzazione della attività di scambio di sementi per produzione anche tra contadini.  La questione sarà affrontata anche nella prossima edizione di Kuminda – Coltivare la biodiversità, il festival del diritto al cibo in svolgimento a Milano in autunno. Insomma, se il mondo industriale sposa il neoliberismo e la “trappola di Malthus”, una buona parte del mondo agricolo (ed ambientale) sarebbe più propensa a legarsi alla decrescita felice di Latouche e alla flanerie di Walter Benjamin.  

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