Intervento di Giorgio Napolitano nella raccolta scritti Praedica Verbum per il 70mo compleanno del cardinale Ravasi, pubblicati in parte da 'L'Osservatore Romano'.
''Mi associo ben volentieri all'omaggio che viene reso a Sua
Eminenza il Cardinale Gianfranco Ravasi, figura eminente della Chiesa cattolica e personalita' piu' generalmente riconosciuta del mondo della cultura : uomo aperto a ogni dialogo, come ho potuto anche personalmente sperimentare. Spero dunque che questo mio contributo, senza avere come altri la dimensione e il livello dello ''studio in onore'' del festeggiato, possa essere accolto come proposta ''di ulteriore dialogo'', o di riflessione comune, su un tema che ci sollecita entrambi. Il tema, cioe', della ''componente ideale'' propria di una seria scelta politica.
Parlai, in una mia lezione (all'Universita' di Bologna) nel gennaio 2012, dell'''appannarsi di determinati moventi dell'impegno politico, inteso come impegno di effettiva e durevole partecipazione'' (individuale e collettiva). E indicai, tra i moventi che si sono affievoliti, quella che anche moderni scienziati della politica hanno chiamato ''la forza degli ideali''. E' un fenomeno che ha accompagnato il mio peraltro fisiologico distacco dall'attivita' politica o piu' concretamente partitica e che - nel tirare autobiograficamente le somme della mia lunga esperienza - definii ''grave e allarmante''. Impoverimento culturale della politica, sua ''sfrenata personalizzazione - smania di protagonismo, ossessiva ricerca dell'effetto mediatico'' - e nel contempo ''perdita, da parte dei partiti, di radicamento sociale e di vita democratica nelle istanze di base'', insieme col crescere di ''una diffusa spregiudicatezza nella lotta per il potere e nella gestione del potere''.
Il visibile impoverimento ideale e culturale della politica ha rappresentato il terreno di coltura del suo inquinamento morale. E non e' questa la sede in cui interrogarmi sul futuro, su una possibile, graduale ma netta, inversione di tendenza. Posso tutt'al piu' ribadire programmaticamente la mia fiducia nella conclusione che Thomas Mann suggeriva ai tedeschi nel pieno della catastrofe provocata dalla degenerazione estrema della politica, quella del barbarico totalitarismo e bellicismo nazista : ''la politica non potra' mai spogliarsi del tutto della sua componente ideale e culturale, mai rinnegare completamente la parte etica e umanamente rispettabile della sua natura''.
Ma come - ecco quale puo' essere la materia di un dialogo rinnovato e approfondito - va intesa quella ''componente ideale''? Come ha operato politicamente nel passato vissuto dalla mia e da altre generazioni ''la forza degli ideali''? Ha operato, si puo' rispondere, nella forma delle ideologie, di grandi ideologie contrapposte, e oggi invece non e' cosi' che si puo' intendere la rinascita di una ''componente ideale'' come molla e guida dell'agire politico.
In effetti, non spiega molto, e non ha mai spiegato molto, la formula che a suo tempo divento' di moda : ''la fine (o la morte) delle ideologie''. Anche perche' l'attenzione si concentro', comprensibilmente, sul crollo di una ideologia : quella comunista, travolta nel collasso dei regimi che ad essa si ispiravano, in Europa centro-orientale e in Unione Sovietica. Molto piu' limitata, e sfuggente, rimase ed e' rimasta la rivisitazione - e la stessa ri-definizione - dell'ideologia che si era contrapposta a quella comunista : ideologia del libero mercato, ovvero di uno sviluppo capitalistico affidato al libero giuoco delle forze di mercato? O ideologia delle istituzioni liberal-democratiche dell'Occidente come punto d'arrivo della storia? Comunque, l'ideologia conservatrice e' sopravvissuta alla fine del comunismo, assumendo sempre piu' le sembianze di quel ''fondamentalismo di mercato'', tradottosi in deregulation e in abdicazione della politica, che solo la crisi finanziaria globale scoppiata nel 2008 avrebbe messo in questione.
Certo, e' stato impossibile - se non per piccole cerchie di nostalgici sul piano teoretico e di accaniti estremisti sul piano politico - sfuggire alla certificazione storica non solo del fallimento dei sistemi economici e sociali d'impronta comunista, ma del rovesciamento di quell'utopia rivoluzionaria che conteneva in se' promesse di emancipazione sociale e di liberazione umana e che aveva finito - come, con fulminante espressione, disse Norberto Bobbio - per ''capovolgersi'', nel convertirsi di fatto nel suo opposto. Anche se puo' discutersi l'uso - a proposito del movimento comunista e della sua visione - del termine ''utopia''.
Vale senza dubbio, in riferimento allo svolgimento, sempre piu' involutivo, di quell'esperienza, il fondamentale avvertimento di Isaiah Berlin, che riconosceva tutto il valore delle utopie, ma aggiungeva che ''come guida al comportamento possono rivelarsi letteralmente fatali''. In effetti, la dottrina e la prassi comuniste - che pure esprimevano una pretesa di scientificita' (''l'evoluzione del socialismo dall'utopia alla scienza'') - avevano proprio la rigidita', onnicomprensivita' e autosufficienza di una ideologia militante.
Ma non e' possibile - ecco ancora un interrogativo attorno al quale varrebbe forse la pena di dialogare - secernere da ideologie contrapposte, riconsiderate nella loro ascesa e nel loro declino, riferimenti positivi per individuare quella irrinunciabile ''componente ideale'' della politica da cui sono partito in questo mio abbozzo, o proposta, di riflessione? Non si puo' confondere, sia chiaro, ''la forza degli ideali'' o la motivazione ideale che spinge all'agire politico e dovrebbe sorreggerlo, con un approccio fideistico : e invece ritengo - basandomi sulla mia personale esperienza e memoria - che nell'adesione e nell'attaccamento di tanti al partito comunista, quale risorse in Italia dopo la liberazione dal fascismo, un elemento di fideismo vi fu, e venne anche dall'alto della sua dirigenza. In un singolare quanto spurio confronto - aggiungo - con il fideismo religioso : non si giunse (da parte comunista) in quegli anni di nuovo inizio, a parlare di ''due fedi''? O - in termini gia' un po' meno ideologici e piu' politici - di ''due universalismi''? Cio' di cui parlo e' dunque altro : un pieno e limpido, razionale recupero a una visione laica della politica degli ideali della liberta' (politica e anche economica), della giustizia, promozione e protezione sociale, della solidarieta' come dovere e sentimento individuale e come responsabilita' e prassi collettiva, del piu' ricco sviluppo della persona e della costruzione di un ordinamento fondato su ineludibili diritti e doveri comuni.
Non possono questi ideali, sottratti agli irrigidimenti e alle estremizzazioni di carattere ideologico, essere perseguiti attraverso programmi e indirizzi diversi, nel vivo di una competizione politica e culturale democratica, e costituire al tempo stesso il sostrato comune di un impegno costituzionale, al livello nazionale e al livello europeo? Non si puo' forse gia' cogliere un quadro di risposte tanto - per parlare dell'Italia - nell'impianto della Costituzione repubblicana, quanto nelle formulazioni di principio su cui si e' fondata e si fonda la costruzione dell'Europa unita? Vedo in tutto cio' materia di dialogo anche tra credenti e non credenti. Perche' i credenti, e segnatamente i cattolici italiani, hanno il loro punto di vista da far valere e il loro contributo da dare. E' un fatto che nei principi e negli indirizzi costituzionali sanciti sia in termini nazionali sia in termini europei (tra questi ultimi, quelli riassumibili nell'ancoraggio a una ''economica sociale di mercato''), si sono calati valori sentiti come autenticamente cristiani.
Quanto l'adesione a questi valori possa essere vissuta in termini di fede e in sintonia con la pratica religiosa, e' aspetto non secondario dell'approfondimento e della riflessione comune che sollecito sulla possibile, necessaria rinascita della componente ideale e morale dell'agire politico. Approfondimento, riflessione, cui da pochi puo' venire un apporto alto e sereno come da Gianfranco Ravasi''.
www.quirinale.it/elementi/Continua.aspx?tipo=Discorso&key=2626
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