martedì 6 novembre 2012

La successione dei contratti di lavoro a tempo determinato, alla luce della Riforma Fornero - prima parte - di Andrea Morzenti, Legal Counsel

La Riforma del Mercato del Lavoro (Legge n. 92 del 2012, cosiddetta “Riforma Fornero”, entrata in vigore il 18 luglio 2012, di seguito semplicemente “Riforma”), a detta di tutti i commentatori, ha inciso profondamente sulla disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato di cui al Decreto Legislativo n. 368 del 2001.
Da un lato provando a renderlo maggiormente fruibile, definendolo “acausale”, per una durata massima di dodici mesi, nel caso di primo rapporto di lavoro tra lavoratore e datore (o utilizzatore, in caso di “assunzione indiretta” in somministrazione). Per la stipula di tale primo contratto, pertanto, non deve essere specificata la ragione di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo: la cosiddetta causale. In altri termini, un periodo di prova lungo.
Dall’altro lato, al termine di questa prima fase di utilizzo, rendendolo sicuramente meno flessibile; in particolare con due interventi limitativi:
1.      prevedendo la computabilità dei periodi di lavoro eseguiti con contratto di somministrazione di lavoro a tempo determinato (di cui all’art. 20, comma 4, del Decreto Legislativo n. 276 del 2003) all’interno del periodo di utilizzo massimo di 36 mesi (periodo massimo di utilizzo del contratto di lavoro a tempo determinato, introdotto, come noto, dalla L. n. 247 del 2007, che, con il Decreto Legge n. 112 del 2008, fa salve diverse disposizioni della contrattazione collettiva);
2.      incrementando sensibilmente il periodo di interruzione, pena l’assunzione a tempo indeterminato, necessario tra un contratto di lavoro a tempo determinato ed uno successivo con lo stesso datore di lavoro.
In altri termini la Riforma intenderebbe facilitare ed agevolare il contratto di lavoro a tempo determinato all’inizio del rapporto di lavoro, rendendolo, nel contempo, meno fruibile in seguito; con l’obiettivo di favorire l’ingresso di nuovi lavoratori nel mercato del lavoro e di facilitare la successiva stabilizzazione del loro rapporto lavorativo.
Data questa premessa e nell’attesa di capire quali saranno le reali conseguenze di tali interventi, proviamo ad analizzare le nuove disposizioni in tema di successione di contratti (il cosiddetto “stop & go”), e cioè il secondo intervento limitativo sopra citato.
Partiamo dal testo originario delle norme, gli articoli 3 e 4 del Decreto Legislativo n. 368 del 2001, che, nella formulazione del 2001, prevedevano:

3. Qualora il lavoratore venga riassunto a termine, ai sensi dell'articolo 1, entro un periodo di dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore ai sei mesi, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato.

4. Quando si tratta di due assunzioni successive a termine, intendendosi per tali quelle effettuate senza alcuna soluzione di continuità, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto. 
Ciò che la Riforma fa è modificare i termini temporali riportati nel comma 3: sessanta giorni in luogo di dieci e novanta giorni in luogo di venti. Con la conseguenza che, dal 18 luglio 2012, per stipulare un nuovo contratto di lavoro a tempo determinato si dovrà attendere sessanta giorni (e non più dieci) nel caso di un precedente contratto di durata sino a sei mesi; oppure, addirittura, novanta giorni (e non più venti) nel caso di un precedente contratto di durata superiore a sei mesi.
Fin qui la Legge.
Il Legislatore della Riforma assegna però alla contrattazione collettiva la facoltà di rimodulare, temperandole, queste nuove disposizioni; prevedendo queste modalità:
·         i contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, in via diretta a livello interconfederale o di categoria ovvero in via delegata ai livelli decentrati;
·         nei casi in cui l’assunzione a termine avvenga nell’ambito di un processo organizzativo determinato:
-          dall’avvio di una nuova attività;
-          dal lancio di un prodotto o di un servizio innovativo;
-          dall’implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico;
-          dalla fase supplementare di un significativo progetto di ricerca e sviluppo;
-          dal rinnovo o dalla proroga di una commessa consistente.
·         possono prevedere, stabilendone le condizioni, la riduzione dei periodi di interruzione di sessanta giorni e novanta giorni, rispettivamente fino a venti giorni e trenta giorni.
La disposizione prosegue prevedendo che, in mancanza di un intervento della contrattazione collettiva, il Ministero del Lavoro, decorsi dodici mesi dal 18 luglio 2012, sentite le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, provvederà ad individuare le specifiche condizioni in cui potranno operare le riduzioni dei termini.
Fin qui la Riforma.
La Legge n. 134 del 2012 (Legge di conversione del Decreto Sviluppo, entrata in vigore il 12 agosto 2012, di seguito “Decreto Sviluppo”) aggiunge, infatti, un nuovo ed ulteriore “tassello”, disponendo che i periodi di interruzione ridotti trovano applicazione anche per:
·         le attività stagionali di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 1525 del 1963 nonché quelle individuate dagli avvisi comuni e dai contratti collettivi nazionali;
·         ogni altro caso previsto dai contratti collettivi stipulati ad ogni livello dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Questa disposizione introdotta con il dichiarato intento di permettere di utilizzare i periodi ridotti ai datori di lavoro con una “doppia stagionalità” ravvicinata, nonché per consentire alla contrattazione collettiva, anche aziendale, di procedere più semplicemente con la predetta riduzione di tali periodi, sconta però una forte incertezza interpretativa. A mio parere, in particolare, sotto un duplice aspetto (senza tener conto di un terzo, cui si dirà al termine di questo scritto):
1.      come possono i contratti collettivi di secondo livello, quindi anche aziendali, intervenire liberamente nel disporre la riduzione dei periodi di interruzione, quando la norma della Riforma, che lo consente loro solo per via delegata (da parte dei contratti collettivi nazionali), resta in vigore esattamente nella formulazione originaria?
2.      quali sono esattamente i “periodi ridotti”, applicabili anche ad attività stagionali ed altri casi, quando la norma della Riforma non ne prevede di definiti ma detta solo un range di possibile riduzione (riduzione fino a venti giorni: da cinquantanove a venti per contratti di durata sino a sei mesi; riduzione fino a trenta giorni: da ottantanove a trenta, per contratti di durata superiore a sei mesi)?
(continua)

Andrea Morzenti

twitter@AMorzenti

4 commenti:

  1. Ma la reiterazione di contratti di std se io ho esigenze giornaliere (sono hr manager di azienda gdo) e' possibile? Mi spiego assumo una scaffalista oggi e lo riassumo dopodomani, devo fare stop? Grazie Raffaele

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    1. Attualmente non esiste una normativa che specificamente disciplini la reiterazione delle assegnazioni a scopo di somministrazione tra i medesimi soggetti coinvolti (in particolare lavoratore ed impresa utilizzatrice).
      Atteggiamenti fraudolenti in questo contesto, diretti cioè ad eludere (aggirare) norme di Legge, potrebbero però essere oggetto di contestazione e configurare la somministrazione come fraudolenta.
      Ci si riferisce, ad esempio, ad un contratto di somministrazione immediatamente successivo ad un contratto di lavoro a tempo determinato (o, anche, ad un contratto di somministrazione) non più prorogabile. Contratto che potrebbe essere contestato per essere stato stipulato unicamente per eludere le norme in tema di durata massima o prorogabilità delle due tipologie di contratto, o di successione di contratti di lavoro a tempo determinato (norme che prevedono l’obbligo di rispettare tra un contratto ed un altro un’interruzione di almeno 60 o 90 giorni a seconda della durata del contratto precedente, rispettivamente pari o superiore ai 6 mesi).
      Decidere di rispettare tali termini come scelta organizzativa e prudenziale rispetto ad un contesto in cui le norme non danno regole, è prerogativa che compete all’Utilizzatore e precostituisce un presupposto di forte difendibilità di fronte ad una contestazione che si incentri sull’avvenuta reiterazione dei periodi di assegnazione.
      Pare altresì opportuno da ultimo rilevare che - secondo la ricostruzione operata dalla dottrina, ma di fatto non rispecchiata da analoga giurisprudenza consolidata - l’obbligo di interruzione potrebbe essere superato qualora i due contratti in successione presentino sostanziali ed effettive diversità: qualora, in pratica, tra i contratti considerati non sussista un rapporto di identità giuridica, riscontrabile in presenza, oltre che di identità tra i soggetti coinvolti, anche di identità di causale o di mansioni svolte dal lavoratore.
      Detto in altri termini: tra due contratti caratterizzati da causali effettivamente e indiscutibilmente diverse, ancor più se per lo svolgimento di attività effettivamente differenti, la soluzione di non rispettare interruzioni potrebbe essere difesa, in caso di contestazione, sulla base della diversa “identità giuridica” degli stessi.

      Saluti,
      Andrea Morzenti
      twitter@AMorzenti

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  2. Salve avv.Morzenti complimenti per la sua esposizione lineare ed efficace. Secondo lei perche la questione della successione non e'stata disciplinata nella riforma per la std ma solo per la ctd?

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    1. La ringrazio per i complimenti.
      Purtroppo, però, non so rispondere al Suo quesito.
      Ciò che Le posso dire è che la Riforma modifica le norme in tema di successione di contratti di lavoro a tempo determinato (norme che, pur diverse, esistevano anche prima della Riforma) e non ne detta di nuove in tema di successione di contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato, lasciando un vuoto normativo esattamente come era prima.

      Saluti,
      Andrea Morzenti
      twitter@AMorzenti

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