Ci troviamo a confrontare con una delle peggiori crisi economiche che il
mondo industrializzato abbia mai conosciuto. Dal 2009 in poi, abbiamo
assistito alla chiusura di migliaia d’imprese, alla collocazione in cassa
integrazione guadagni, di centinaia di migliaia di lavoratori ed all’improvviso
rialzo dell’indice di disoccupazione, tornato a crescere drammaticamente dopo
anni di trend occupazionale positivo.
Il nostro Paese però,
possiede dei punti di forza che gli possono consentire di far fronte con
successo alle conseguenze di queste gravi e profonde crisi economiche di
carattere planetario. Non dobbiamo quindi farci prendere dallo sconforto.
La forza dell’Italia
risiede nella sua economia “reale”, nel suo sistema socio-economico dinamico,
che coniuga tradizione e innovazione, varietà e qualità nell’offerta di
prodotti e servizi, apprezzati e richiesti in tutto il mondo. La nostra
economia è poco “finanziarizzata”, costruita sui punti di forza dell’industria,
del turismo, dell’agricoltura,
dell’innovazione, dell’arte e della cultura. Dobbiamo considerare però che la crisi rappresenta
uno stato economico che grava su tutti gli operatori del mercato: è
un’opportunità per esprimere idee e ingegno. Pertanto non va subita in
modo passivo e indifferente, ma deve essere analizzata e
affrontata in maniera lucida e attenta, agendo tempestivamente su
tutte le principali leve di creazione del valore, mettendo in atto
politiche che favoriscano la crescita, il lavoro, l’equità sociale e fiscale.
Il lavoro è una delle leve del
valore: infatti “un mercato del lavoro
dinamico, flessibile e inclusivo, è capace di contribuire alla crescita e alla
creazione di occupazione di qualità, di stimolare lo sviluppo e la
competitività delle imprese, oltre che di tutelare l’occupazione e l’occupabilità
dei cittadini”.
Nel dibattito sulla riforma del
mercato del lavoro, la risposta italiana, potrebbe essere racchiusa in un nuovo diritto del lavoro
che tolga rigidità in entrata e in uscita dal mercato del lavoro e che,
garantisca alle imprese una flessibilità molto maggiore e nello stesso tempo
una sicurezza economica e professionale ai lavoratori.
Ai primi di agosto del 2011, la Banca Centrale Europea (Bce), ha inviato al
Governo Italiano una lettera, con la quale sollecitava alcune misure incisive
finalizzate a riattivare la nostra crescita economica. Fra queste, il
decentramento del nostro sistema della contrattazione collettiva, la
flessibilizzazione della nostra disciplina dei licenziamenti, e infine,
l’introduzione di tutele economiche e professionali e un’assistenza effettiva e
intensiva nel mercato del lavoro a favore dei lavoratori che hanno perso il
posto di lavoro. In particolare si faceva riferimento “all'esigenza di riformare
ulteriormente il sistema di
contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello
d'impresa in modo da ritagliare i
salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende
e rendendo questi accordi più rilevanti
rispetto ad altri livelli di negoziazione. Dovrebbe essere adottata un’accurata
revisione delle norme che regolano
l'assunzione e il licenziamento dei dipendenti, stabilendo un sistema di
assicurazione dalla disoccupazione e un insieme di politiche attive per il
mercato del lavoro che siano in grado di facilitare la riallocazione delle
risorse verso le aziende e verso i settori più competitivi”.
A metà agosto, in risposta a questa sollecitazione della Banca Centrale
Europea, il Governo Italiano approvava una nuova legge che ha drasticamente
incentivato il ruolo della contrattazione aziendale. Più precisamente la nuova
norma (l’articolo 8 del Decreto Legge n. 138 del 2011, convertito in Legge n.
148 del 2011) prevede che ogni contratto aziendale o territoriale firmato da
una o più organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul
piano nazionale o territoriale, può derogare non solo ad ogni contratto
collettivo nazionale, ma anche all’intera legislazione nazionale del lavoro,
inclusa la disciplina dei licenziamenti ed escluse solo le norme costituzionali
e quelle contenute nelle convenzioni internazionali e nelle direttive europee.
Con questa norma, ogni imprenditore “innovatore”, se ha di fronte
rappresentanti sindacali lungimiranti, può inserire nella propria azienda un diritto del
lavoro, basato
su di una coniugazione della massima flessibilità delle strutture produttive,
con la massima sicurezza del lavoratore.
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